Il cinema è un medium parassita, lo è sempre stato.
Sto facendo fatica a trovare i numeri, ma non parlo del tutto a naso, comunque.
Ho trovato in particolare un po’ di dati interessanti sul blog di Stephen Follows, un tizio che nella vita raccoglie e divulga dati sul cinema (in realtà credo faccia anche lo scrittore, lo sceneggiatore, il produttore, il giornalista, cose).
Il signor Follows (cognome stupendo) ha preso in considerazione i 100 film con i maggiori incassi ogni anno dal 1994 al 2013, e ha messo insieme dei dati interessanti, per esempio che il genere più ‘originale’ sono le commedie romantiche, mentre l’horror è il genere più aperto a remake e sequel (saranno gli effetti speciali? o che tanto sarebbe sempre lo stesso film comunque tanto vale usare lo stesso nome? scherzo, eh… più o meno), e anche che il budget medio delle sceneggiature originali è inferiore di quasi 30 milioni di dollari a quello degli adattamenti. Un’altra cosa sicuramente interessante è che negli anni ’90 si producevano – o avevano successo – più film originali che adattamenti e rifacimenti, mentre negli anni 2000 il 51% – che comunque non è così tanto – delle sceneggiature non sono originali.
Sì, ma non stiamo parlando di incrementi così significativi delle percentuali, eh. A quando risale il primo film su Dracula? La prima apparizione è del 1921, il primo vero adattamento del romanzo di Stoker è Nosferatu, del 1922.
Gli adattamenti dei romanzi di Stephen King a partire dagli anni ’70? The Shining, tanto per dirne uno, nel 1980.
Il primo adattamento de I Tre Moschettieri? Di un italiano, nel 1909!
Potete divertirvi a continuare voi.
Il punto è che fare cinema costa, più che scrivere e stampare libri o fumetti, e insomma adattare una storia che esiste già, che ti garantisca un sufficiente pubblico iniziale e un minimo di pubblicità, incassi, tenta il produttore. Del resto m’immagino, e qui speculo liberamente, che un altro fattore importante sia il numero di persone coinvolte e la maggiore difficoltà di imbattersi in una sceneggiatura rispetto a quella di imbattersi in un romanzo più o meno famoso di cui comprare i diritti di distribuzione.
Fino a qui, quindi, niente di nuovo.
C’è un altro cambiamento che però non ho ancora fatto notare. Quali sono le fonti prevalenti di adattamenti?
Ancora, fatico a trovare numeri precisi, ma posso affermare con sufficiente sicurezza che negli anni ’30, ’40, ’50 arrivavano al cinema più romanzi (in percentuale) di oggi, meno fumetti e meno remake. Le ragioni sono banali: il cinema nasce più o meno agli inizi del secolo scorso, diventando popolare quasi immediatamente, a mezzo secolo dalla sua nascita c’era meno della metà del materiale da rifare di oggi (torno sulle cifre fra un attimo); i fumetti si affermano sul mercato solo negli anni ’30 del ventesimo secolo, invece, e fanno fatica a farsi rispettare per un bel pezzo, diventando un fenomeno di massa alla fine del decennio – Superman, la Golden Age eccetera -, ma continuando a subire critiche e discriminazioni fino a praticamente l’altro ieri. Ancora oggi – forse per poco, forse per sempre -, i cinecomic sono cinema ‘di serie B’, fanno fatica a vincere premi, gli attori vengono criticati, il genere accusato di diseducare i gusti degli spettatori (wtf…).
Potete cercarvi le dichiarazioni di Zoe Saldana, James Cameron o Jodie Foster in merito a queste cose tanto per farvi un’idea che non mi sto inventando di sana pianta le argomentazioni.
Ho detto la parolina magica, gente: cinecomic.
Che diavolo è, e perché ultimamente se ne parla tanto?
Prima chiarisco questa storia dei remake e poi possiamo andare avanti. Frugando nel database IMDb, si scopre con una ricerca non troppo approfondita che negli anni ’10 del ‘900 sono stati prodotti circa 13000 lungometraggi – non so come il sito decida che il film è un feature film e suppongo il database non sia completo al 100%, ma tant’è -, 50 anni dopo, negli anni ’60, 28000. Dal gennaio 2010 al marzo 2019, 89000. La differenza con un secolo fa è quasi di un ordine di grandezza.
I cinecomic sono adattamenti da un fumetto, tendenzialmente ci si riferisce con questo termine ad adattamenti da comics (fumetto americano) e principalmente al genere supereroistico. Non è scontato che debba essere così, ci sono eccezioni – Oldboy, tra tutti -, ma è innegabile che le storie di supereroi al cinema, soprattutto negli ultimi dieci anni, abbiano reso il fumetto una fonte molto più appetitosa per una sceneggiatura di quanto non sia mai stato, con tanto di budget e incassi record – anche se no, nessun film di supereroi è tra i 10 che hanno incassato di più, tenendo conto dell’inflazione del dollaro, nella storia, e anche non tenendone conto si va solo dal 4° posto in giù (Endgame mi ha smentito su quest’ultima affermazione mentre completavo l’articolo, congratulazioni).
Voglio fissare una data di inizio per questo fenomeno, per quanto onestamente arbitraria, il 17 giugno 2005. È la data di uscita nei cinema americani di Batman Begins, di Christopher Nolan.
Nel decennio precedente e in quello successivo sono stati prodotti diversi cinecomic senza sostanziali pause e con un’accelerazione dettata più dalla crescita del Marvel Cinematic Universe che da un qualche trend generale dell’industria. Ma allora perché ho scelto questa data?
Perché penso che Batman di Christopher Nolan e l’MCU siano, nel bene o nel male, le due cose più grandi che siano capitate al fumetto in questo ventennio.
Sebbene gli adattamenti da fumetti non siano mancati a partire dai film su Superman e Batman dagli anni ’80 e proseguendo con svariati esempi più o meno di successo e apprezzati, come gli X-Men di Bryan Singer o gli Spider-Man di Sam Raimi – risalenti più o meno agli stessi anni -, Batman Begins è l’esempio di qualcosa di interessante, un tentativo di rendere un film sui supereroi qualcosa di più di un’esca per i fan del personaggio o di un giocattolo del suo regista. (Qualcuno ha detto Tim Burton? No, non io, assolutamente.)
La trilogia di Nolan non sarà forse un caposaldo del cinema in generale, ma è un momento di riflessione maturo su di un genere, una presa di coscienza di cosa è e cosa vuole fare un certo cinema di genere. Per di più il secondo momento della trilogia, il film più compiuto dei tre, esce nello stesso anno di un altro cinecomic, preso da solo molto meno interessante ma che darà inizio a un fenomeno culturale assimilabile a Star Wars o al Signore degli Anelli (senza giudizi di merito, parlo di capacità di trascinare le masse), Iron Man.
Iron Man è un esperimento ancora più strano di Batman, per un paio di motivi: il personaggio non è neanche minimamente un’icona pop dello stesso livello, portarlo al cinema non era una decisione banale; in più la Marvel Entertainment (e Kevin Feige) nelle vesti di Marvel Studios avevano imboccato una strada talmente ovvia che nessuno ci aveva pensato prima, adattare l’intero apparato narrativo delle produzioni a fumetti, e non semplicemente alcuni personaggi e storie, al medium cinematografico. La cadenza è dilatata, i personaggi e le trame sono meno, ma l’idea di fondo, di costruire un universo narrativo sufficientemente coerente, a puntate, con un pubblico ricorrente che attenda sempre l’uscita del prossimo episodio, una complessa industria dell’intrattenimento, era la stessa che muoveva il fumetto mainstream americano in quegli anni – e ancora oggi, sebbene con alcune eccezioni e variazioni recenti, ma di questo parleremo un’altra volta.
La scelta dei personaggi fu invece un fatto contingente, in primo luogo dettato dal mancato possesso dei diritti cinematografici su certi personaggi chiave, che aveva portato la Marvel (quella di carta) a deviare l’attenzione dalle serie mutanti e da Spider-Man – comunque i più popolari tra il pubblico – ai Vendicatori – un super-gruppo con tutto il potenziale narrativo che volete, ma che faticava a ripetere lo stesso successo di quegli altri personaggi -, proprio in vista di un salto al cinema. Tutto mentre – sto contraendo la scala dei tempi, badate – i Fantastici 4 sparivano dal panorama fumettistico e il declino degli X-Men proseguiva, devastati e denigrati nel tentativo di sostituirli con gli Inumani, snaturati anch’essi perché potesse funzionare – e non ha funzionato.
Fu proprio questa complicità tra l’universo cinematografico nascente e quello preesistente a fumetti, unita a qualche intuizione intelligente della produzione, un regista che aveva capito dove andare a parare e un casting fortunato a creare il fenomeno che conosciamo oggi.
Jon Favreau, grazie di tutto. Grazie per i cheeseburger.
Non ci sarebbe stato il cinecomic contemporaneo senza Feige, senza i diritti di Spider-Man alla Sony e degli X-Men alla Fox, senza Jonathan Favreau e senza Robert Downey Jr., parliamoci chiaro. Quell’Iron Man nel 2008 avrebbe anche potuto essere un film migliore date altre condizioni iniziali, ma non avrebbe avuto il traino che ha avuto, non avrebbe permesso tutta l’operazione successiva e non avrebbe avuto lo stesso impatto sull’industria fumettistica, che essendo in continuo farsi, a differenza tanto per dire di un romanzo, ha ricevuto dal cinema molto (forse troppo), e non solo dato.
Senza tutto questo avremmo probabilmente avuto un cinema di supereroi più serio, à la Nolan, e, mi duole ammetterlo, ce ne saremmo stancati molto prima.
Cool guys don’t look at explosions
Il fumetto è un medium permissivo, esiste la possibilità di farci molto di più che intrattenere un adolescente.
Nonostante i momenti anche piuttosto alti raggiunti o raggiungibili, se quello che vuoi portare in giro sono i supereroi c’è solo un numero finito di cose brillanti che puoi farci: dopo viene la ripetizione. È quello che è successo, in fin dei conti, a Batman prima di quel fatidico 2005, o prima di Frank Miller nel 1986. È un ciclo naturale, nasce inevitabilmente dalla durata improponibile della vita editoriale di certi personaggi e dal quantitativo sproporzionato di storie e adattamenti.
E non cambia molto se i temi si aggiornano e la società cambia. Perché se è giusto, quasi un’esigenza, che un supereroe sia un modello per le generazioni che crescono guardandolo, non per quelle passate, e che quindi pian piano la figura standard evolva dal classico omone in calzamaglia e inizi a rifrangere diversi aspetti della società, diversi gruppi sociali, culture, includendo anche il suddetto omone ma pure modelli alternativi (no, Pantera Nera per me rientra a pieno titolo negli omoni in calzamaglia, posso fare un’eccezione per Captain Marvel ma non sono ancora sicuro), se è giusto che non resti statico mentre gli anni passano… Due o tre film all’anno per casa di produzione più da uno a quattro spillati al mese per personaggio non li riempi di riflessioni sensate sulla società e sul mondo.
Temo non sia un caso che anche a fumetti le storie più mature e interessanti siano eventi unici, slegati o indipendenti, di durata limitata nel tempo, e raramente facciano parte di quel fiume di produzioni seriali, ricorsive, spesso frettolose da cui siamo ammorbati costantemente noi poveri lettori.
Il mio odio verso chi alimenta le vendite di certa roba è più che mai vivo.
Ma che succede se il personaggio smette di prendersi sul serio?
Succede che improvvisamente è tutto meno pesante, meno stancante, meno responsabilità sulla regia. C’è il dramma per dare profondità e coinvolgere, c’è la tensione per farti volere sempre il prossimo film, c’è l’autoironia per rendere accettabili situazioni che di base non lo sono. Non per uno spettatore adulto almeno.
Sì, ma trent’anni fa… I tempi cambiano, cristo.
Gli spettatori anche, certe cose invecchiano, possiamo apprezzare la storia anche evitando di restarci incastrati dentro: pensate all’impatto di Excalibur negli anni ’80, riguardatelo ora nel 2019.
Vi ho convinti?
D’altra parte c’è sempre la possibilità di scrivere storie intimiste, pensate a Watchmen, Logan, alle premesse del Joker di Phoenix (non deludermi, ti prego). Non sono per tutti, non sono per fare grandi incassi tutti gli anni, non facciamo finta che non sia così e risparmiamoci i Man of Steel, i Days of Future Past, persino i Superman Returns e Split e Glass.
Il cinecomic ha trovato la sua dimensione nell’autoironia.
I Guardiani della Galassia, Thor: Ragnarok, Deadpool.
Deadpool in particolare è emblematico. Il personaggio cinematografico viene dallo stesso mondo da cui vengono tutti gli altri omoni e donne seriosi che ho citato, e poi anche da Ryan Reynolds che è un simpaticissimo cazzone nella vita di tutti i giorni e che aveva già dimostrato di poter reggere la parte almeno dai tempi di Blade: Trinity.
Dallo stesso mondo, capite?
Non importa che al cinema siano universi differenti (per poco): la parodia è intrinseca.
Non c’è più spazio per Balle Spaziali. C’è Deadpool, è vero, che prende in giro tutti, ma lo fa come farebbero già loro da soli. E c’è persino il rischio che finisca in un film insieme a loro, agli Avengers. Riflettete un attimo sul senso si questa cosa.
L’MCU è una festa. Epica? Anche. Valori e modelli da seguire? Certo. Ma che, vogliamo fare un film per bambini e basta, raccontare una storia che sia solo cinema di genere e con nessuno che ci prende sul serio? Faremo la cosa più di genere e meno seria che ci sia, e che ci provino a non darci retta.
E il mondo gli ha dato retta: è la fine dei giochi.
Oggi, lunedì 5 maggio è il giorno in cui finisce ufficialmente il silenzio sull’Endgame, potrebbero sfuggirmi alcuni spoiler, per cui…
Prima di guardare il film pensavo che questo sarebbe stato l’ultimo atto.
Non lo intendevo come Feige, intendevo il vero ultimo atto: la gente che si stanca dei supereroi e smette di andare a guardarli al cinema.
Per un tot di anni almeno, finché qualcuno non li reinventa di nuovo. Come il western, o i pirati.
Perché, parliamoci chiaro, succederà, ma non è ancora il momento.
Perché vedete, io pensavo ad Avengers: Endgame (ma che è sta cosa dei due punti nei titoli?) come appunto all’ultimo atto di un grosso evento cinematografico diviso in parti, un momento di sintesi per tutti quelli che avevano seguito l’MCU e avevano avuto a cuore quei personaggi. Anche perché Iron Man è morto e non se ne farà un altro, Capitan America se ne farà un altro ma non è la stessa cosa, e così via piano piano ci abbandoneranno tutti.
Infinity War mi aveva preparato a questo: alla Fine. Che poteva mai esserci dopo, se non la ripetizione?
A cosa non avevo pensato? Sto dicendo da dieci minuti che la Marvel ha prodotto una formula nuova, che ha riadattato anche la struttura dei fumetti al grande schermo eccetera, ma sono un idiota e non ero veramente consapevole del significato della frase.
Quando ho visto Endgame ho capito che ne volevo ancora, perché non è l’ultimo atto, è solo il finale di stagione.
Questo implica tante cose, tra cui che non è fino in fondo un film. Tu vai a sederti al cinema, stai lì 3 ore, esci di sala più o meno contento e dài i tuoi giudizi. Solo che questa cosa la puoi fare solo se hai in mente altre 50 ore circa di girato divise in 21 episodi, se no non vale. Non lo dico per chissà quale ragione astratta, lo dico perché se tu vai lì avendo saltato una buona parte dei film precedenti e non avendo un’idea delle loro trame non capisci che sta succedendo sullo schermo, perché non è un film.
Non c’è una trama con un inizio e una fine (ce ne sono molte e sono già iniziate altrove perlopiù), non c’è un momento in cui ti dicono chi è chi e che sta facendo o quasi e insomma alla fine della festa hai visto ‘un trailer di 3 ore’ come ho sentito dire a qualcuno che è andato al cinema e non sapeva bene perché ci fosse andato, ma ha pensato pure di mettere la sua opinione in merito su internet.
Come difatti accadrebbe se iniziassi a guardare una serie TV dal finale di stagione. Che ti aspetti?
Ma mi è servito un ultimo indizio per capire di cosa si trattava, una cosa che dall’interno (intendo da fan, da nerd che aspettava che ai supereroi succedesse una cosa del genere e che guardava i cinecomic anche quando ancora facevano schifo, tutti indistintamente, nonostante ora ne brucerebbe la maggior parte) non potevo veramente apprezzare.
Il mio coinquilino non ha ancora visto Avengers: Endgame e si è chiuso in casa a guardare i film che si era perso – almeno una decina, forse più – per tutto il fine settimana e oltre. Vuole rimettersi in pari per poter andare al cinema.
Non sta facendo una maratona, come un fan sfegatato che si prepara al grande evento, sta facendo binge-watching, come quando ti consigliano una serie figa e te la spari tutta di seguito appena hai un po’ di tempo libero.
Personalmente ritengo che questo la dica molto lunga su cosa sia e sia stato l’MCU rispetto al resto del cinecomic, perché abbia avuto il successo che ha avuto, perché penso che abbia cambiato, in fin dei conti, il cinema.
Cosa che Nolan, con tutto l’affetto, non sei riuscito a fare. E mi dispiace davvero, perché tutt’oggi penso che Il Cavaliere Oscuro sia uno dei momenti più maturi del genere, anche oggi dopo quest’ultimo Avengers che pure ho amato.
Addio, signor Stark.
Perciò signor Cameron mi dispiace, ma mi sa che ci becchiamo almeno un altro paio di archi narrativi prima che la baracca crolli.
O magari rebootano prima, voglio dire: è la Marvel.
Aspirante studente e pigro dalla nascita, appassionato di storie in ogni forma e di sentenze sensazionalistiche poco argomentate. Per altri dettagli vi rimando all’autobiografia che non scriverò mai dal titolo provvisorio di ‘Indecisi’ – ‘Mainstream’ era già preso.