Uno studente squattrinato entra in fumetteria e vede almeno una decina di volumi che vorrebbe comprare, alcuni già lo sapeva altri non aveva idea che esistessero, splash.

Alcune settimane fa Panini Comics aveva pubblicato da poco il quarto cartonato di Rumble, mentre lo studente squattrinato si chiedeva ancora quando avrebbe comprato il terzo e si sentiva afflitto.
Rumble è la storia di Rathraq, an ancient scarecrow warrior wielding a giant sword (appropriato), scritta da John Arcudi e attualmente composta da una saga conclusa pubblicata in tre volumi e un’altra in corso – che parte dal suddetto quarto cartonato intitolato Un’anima senza pietà. Matite prima di James Harren (che vi consiglio, semplice e suggestivo) e ora di David Rubìn (che non conosco ma pare sia uno tosto).

Rumble è figo perché Rathraq è figo.
Ringrazio Panini Comics per avermi presentato nel 2016 il primo numero su quella carta di giornale brutta che profuma di Free Comic Book Day, con lo spaventapasseri in copertina e la grafica stilizzata a tratti caricaturale con tutto il weird horror eccetera eccetera. Anche perché non ce n’erano così tanti ancora in giro di fumetti così.

Succede spesso: una copertina suggestiva, qualche battuta scritta da un autore con i piedi all’altezza giusta del corpo, un disegnatore che ha azzeccato tutto: il concept (ci ho provato a trovare una parola italiana per questo ma è difficile, giuro), l’atmosfera, la gestione della tavola.
Poi succede qualcosa. Un editor decide che la storia non può tenere quella piega perché i lettori non lo accetteranno, oppure perché c’è da preparare le prossime dodici saghe con altri scrittori e non puoi mica ammazzargli per sempre un personaggio o fargli cambiare fazione, un disegnatore viene sostituito perché costava troppo…

Ariel, perché mi hai abbandonato?

E niente tu, povero lettore che volevi solo goderti una storiella decente scritta come ti piaceva, con un bel personaggio, sei stato truffato di nuovo.
Avevi comprato tutti i volumi perché tanto il 3 e il 5 avevano già detto che li avrebbero ristampati, ma la storia finisce male al 12 perché gli hanno staccato la spina quando servivano ancora decine di numeri. Avevi messo la serie in casella perché tutto sommato non era niente male, ma da un numero all’altro hanno mandato a casa lo sceneggiatore e quello nuovo non sa come si usano le didascalie e pensa di scrivere per un pubblico di dodicenni…

I fumetti sono una cosa bella, ma l’editoria fa schifo.

Intanto Rumble lo scrive sempre Arcudi, e le matite sono cambiate alla fine di un ciclo mica in un giorno di pioggia qualunque, dopo che la serie era stata ferma per uno o due anni, e quello nuovo c’entra qualcosa con il soggetto, non è un animatore sottopagato della Rainbow.
Perché? Perché la Image.

Normie, pentiti!

Image Comics ha una storia interessante. Fondata nel 1992 da gente tipo Jim Lee, Todd McFarlane, Rob Liefeld – insomma gente già nell’industria come creatori – voleva essere una soluzione al modello economico sempre più marcio delle due major dei comic, la Casa delle Idee e la sua Distinta Concorrenza (entrambi i nomi sono esilaranti se ci pensate un attimo). Ma sta gente che ha creato, esattamente? Supereroi in calzamaglia, retroscena triti, vicende dozzinali. Image Comics nasce semplicemente come l’ennesimo reboot editoriale all’interno del contesto del fumetto mainstream americano.

Il signor Lee dirige la baracca.
Ha creato i primi tre personaggi, cambiato qualche dettaglio dei successivi per farli ricadere egualmente sotto la sua proprietà intellettuale, maltrattato qualche sceneggiatore/disegnatore per aumentare il volume di storie e prodotto un po’ per suo merito un po’ suo malgrado una baracca che diventerà più grande di lui e non sa bene perché.
Stan? No, Jim.
In più, a Jim, come a Stan, non gliene frega niente della libertà creativa e delle possibilità narrative di quello che sta facendo. Jim vuole dirigere per poter fare quello che gli pare e perché pensa che non lo paghino abbastanza, quindi continua a illustrare storie dozzinali di supereroi in calzamaglia come ha sempre fatto, ma ora con cadenza irregolare, facendo lavorare a volte altri al suo posto e in definitiva vendendo (e intascando) meno. Ecco perché Jim alla fine rivende la baracca a papino e torna a fare il suo lavoro alle dipendenze di qualcuno che ne capisce.

Qualcun altro, invece, il suo lavoro non lo sapeva fare ma il nuovo che si è trovato sì, così succede una cosa divertente.

DC Comics, Inc. è un publisher, una casa editrice. Una società che si occupa di distribuire l’opera dell’ingegno, come la chiamerebbe un avvocato, per renderla fruibile al grande pubblico.
DC Comics, Inc. non fa il lavoro che farebbe tradizionalmente una casa editrice.
DC Comics, Inc. detiene i diritti di personaggi, storie, situazioni, loghi, e decide cosa raccontare, quali personaggi debbano avere o no una serie, quando e come produrre eventi e altre situazioni del genere. A volte decide che un autore può fare qualcosa che gli piace, ma può tagliargli le gambe quando gli pare, cambiare le carte in tavola, reindirizzare il personale, perché detiene i diritti.
DC Comics, Inc. tiene diverse maestranze sotto contratto e le paga in base ai contenuti che producono, solitamente per pagina.
In Italia Sergio Bonelli Editore fa lo stesso lavoro. In altre nazioni con una viva tradizione fumettistica la situazione può essere più complessa, in Francia o in Giappone per esempio. In Giappone il modello economico è più vicino a dove sto andando a parare, ma ha altri problemi (tra cui la tossicità di certi editor o il volume di contenuti richiesto dagli editori) che portano a problemi simili a quelli del mondo comic.

Image Comics è una casa editrice vera.
È un mondo crudele, ma onesto. È un modello che produce contenuti interessanti e controllati da chi non solo di solito li ha a cuore, ma ha le competenze per decidere cosa farne. Non che non possa togliere di mezzo una serie che non vende abbastanza, ma non deciderà cosa devi mettere nella tua storia.
Magari decide che sei troppo cattivo per loro, troppo scorretto, ma non c’è censura, puoi sempre andare a pubblicare la tua storia da qualche altra parte.
Alla Dynamite Entertainment per esempio, vero, Garth Ennis? (Sto barando, Wildstorm era già di DC quando è iniziato The Boys, ma avete capito il senso.)

Questa cosa gli americani la chiamano fumetto indipendente, come se fosse una cosa brutta. Da noi il creator owned lo fa Feltrinelli, che è tipo l’equivalente di Amazon per la nostra realtà provinciale, tanto per dire.
‘Sti italiani radical chic.

Image Comics non è l’unica casa editrice americana né la prima, sia chiaro, c’è la Dark Horse per esempio. Image Comics ha cambiato le regole, però, gli altri non ci sono riusciti.

Se Feltrinelli o Fandango fanno i sofisticati e ci presentano novel dense per animare le nostre conversazioni sul Frecciarossa e farci i pesanti con le citazioni, Image Comics si presenta come vera alternativa alle major nel soddisfare il bisogno di un piacere più spicciolo, basilare.
Ho prestato Sandman a un amico, mi ha detto ‘Sì, ma questo è un romanzo, io se leggo un fumetto voglio che sia semplice e scorra veloce, non voglio doverci pensare’. Dopo uno sforzo iniziale per contenere l’hypsteria, ho dovuto accettare che avesse ragione.

Gaiman, perdona loro, perché non sanno quello che fanno.

Rumble è lo spillato che vai a comprare una volta al mese per vedere come continua. E la cosa che mi ha sconvolto leggendolo non è chissà quale ricerca innovativa, quale esplorazione di tematiche profondamente radicate nella psiche umana, è che sembrava finalmente una serie scritta in questo decennio.
L’industria dei supereroi è indietro di almeno vent’anni, forse trenta, su come si faccia il fumetto. Sull’impostazione delle tavole, l’uso delle didascalie, i dialoghi naturalistici, l’estetica stessa dei personaggi. E tutto questo è ridicolo perché la rivoluzione dei comic è avvenuta tra le loro file. Non parlo di ripetere i grandi capolavori del fumetto autoriale, parlo di piccoli furti di prospettiva, di nuovi trucchi, dei cambiamenti che prima stravolgono, poi dovrebbero consolidarsi col passare dei decenni.

Rumble non è un capolavoro, è decente. RIESCE A SPICCARE PERCHÉ È DECENTE. Dialoghi che uno potrebbe avere davvero date certe situazioni, battute che fanno effettivamente ridere, disegni pensati che non siano una ripetizione estenuante di Jim Fuckin’ Lee, anatomia che non sia oscena e movimento.
Ce ne rendiamo conto?

Chiariamo, decente significa ‘Che è quale si conviene, che risponde a legittime esigenze‘ (Treccani, NdA), quindi è buono, ok? Non è un giudizio negativo. Il mio problema non è la qualità dell’opera, che ritengo assolutamente appropriata, è il fatto che emerga. Vuol dire che il resto è insufficiente, capito? Poi a me Rumble piace e pure parecchio, se no parlavo di altro. Il problema è che un lettore non dovrebbe scegliere una storia d’intrattenimento perché è l’unica (iperbole) scritta bene, dovrebbe sceglierla perché incontra il suo gusto più delle altre, altrettanto valide, proposte.

Riviste manga grandi come elenchi telefonici con dentro serie clonate, decine di periodici in tutto il mondo con cadenze insensate (ma come puoi pretendere che un disegnatore decente ti illustri 24 pagine ogni 15 giorni o peggio, ovvero una tavola e mezza al giorno incluse domeniche e festivi e di più se parliamo di manga, senza fare cagate) riempite da scrittori che ormai si preoccupano solo di consegnare qualcosa, qualunque cosa, entro la scadenza. E se uno è più bravo lavora meno e si fa pagare di più, non te ne puoi permettere tanti in percentuale.

Se uno è diverso va a finire che vende pure menoperché a volte è un problema pure dei lettori, ammettiamolo – e allora col cazzo che lo scritturi.

E infine, i supereroi.
Non avrai altro comic all’infuori dei supereroi. Questo osceno comandamento – lo stesso che riempie le fumetterie e Italia 1 di shonen da più degli anni che ho – è l’ultimo, mortifero colpo delle finte case editrici a un’industria che proprio non ne aveva bisogno. Puoi fare anche supereroi, anche shonen, e anche altre cose.
Non è che se ricompri Conan il Barbaro poi devi per forza fare il crossover con gli Avengers, capito?

Il suddetto crossover. Quanta ignoranza, vi prego.

Sembra che solo Star Wars abbia la forza di sfuggire alla piaga (Sì, era una battuta. No, non dovete ridere solo essere compiaciuti perché avete capito il riferimento).

Finché ci sono autori come John Arcudi, comunque, e finché qualcuno gli dà una possibilità di raccontarci quello che gli passa per la testa, poco male.
Ma anche gente come Jeff Lemire, Mark Millar, Jason Aaron, Grant Morrison, che pure lavora e ha lavorato sui supereroi perché parliamoci chiaro sossoldi, trova in questa realtà indie (che di indie non ha proprio niente) il modo di proporci idee fresche e di qualità che non avrebbero modo di vedere la luce altrimenti.

E fortunatamente anche in Italia iniziamo a rimetterci in pari, ma gli spillati, gente. Ci mancano gli spillati.
Abbiamo avuto Invincible e un altro paio di eccezioni, ma le fumetterie e le edicole continuano ad essere affogate da roba tipo Miss Marvel, altre miniserie sul ritorno di Wolverine, negli antologici Panini (silenzio tattico su RW) ci finiva qualunque cosa – dovete ringraziare tutti i giorni che ce ne siamo liberati, altro che stare a lamentarvi, cani – e nessuno ha ancora provato a portarci, bo’, Saga o Paper Girls in tempo reale.

Non che i volumi mi dispiacciano, per un’opera come Saga soprattutto. È che lo spillato ha tutto un altro gusto, e su certe altre serie ci starebbe proprio.

In attesa che qualcuno mi dia retta leggetevi Rumble che a parte tutto è proprio figo.

Psst, Mondadori, lo so che a te piace pubblicare indistintamente la roba figa figa e Licia Troisi, ma questa potrebbe essere un’idea per fare seriamente concorrenza alla Feltrinelli, no? Cioè Alan Ford, Diabolik, tutto molto bello, ma Middlewest e Skyward con l’iconcina Oscar Ink? Eh?
Cioè, quanto ci sbancate?

Tantissima roba, ed è solo un lavoro approssimativo il mio, eh!

MrPrep

Aspirante studente e pigro dalla nascita, appassionato di storie in ogni forma e di sentenze sensazionalistiche poco argomentate. Per altri dettagli vi rimando all'autobiografia che non scriverò mai dal titolo provvisorio di 'Indecisi' - 'Mainstream' era già preso.