Bentrovati con un nuovo appuntamento della rubrica “Il Batman di…”, questa volta siamo alle prese con una delle gestioni contemporanee più amate, quella di Scott Snyder e Greg Capullo. Un sodalizio fortunatissimo in casa Burbank, iniziato nel 2011 con un reboot ricco di speranze (perlopiù tradite). Va ricordato, con la nostra usanza di contestualizzazione, come Scott Snyder in quel periodo avesse già scritto delle storie di Batman nella storica Detective comics, accompagnandosi con lo strabiliante Jock e dal nostrano Francesco Francavilla. Il primo numero di Detective comics, firmato da Snyder, è il numero 871 (novembre 2010) con cui inizia il piacevolissimo lavoro sullo Specchio nero, di cui spero di parlarvi un giorno. Come ricordato, nel 2011 inizia New 52 e Scott Snyder, perlopiù accompagnato da Greg Capullo, scriverà ben 53 numeri sulla testata ammiraglia, arrivando al 2016. Noi qui ci occuperemo di questi 5 anni di storie e se poi, successivamente, torneremo a parlare delle altre bat-snyderate lo vedremo. Va infatti ricordato, come lo si è fatto parlando del Batman di Morrison, che Snyder ha scritto numerosissime storie su Batman negli anni, al di fuori della testata ammiraglia. Non sempre, però, rimanendo costante con la qualità, ahimè; ma questa è un’altra storia. Oggi parliamo di uno se non il più alto momento della gestione del personaggio, l’ormai leggendaria Corte dei Gufi.

Primo Capitolo: Cos’è Gotham?

Non nascondo una certa emozione nel rileggere le prime parole con cui si apre la Corte dei gufi. Riesco quasi a immaginare un narratore (Jon Hamm) intento a illustrarci cosa sia Gotham per i gothamiti. 

Fra le prime tavole ritraenti una Gotham spenta, appestata e mortifera – la nostra mente ancora non può immaginare quanto ricolma di ombre essa sia (seppur qualche statua anomala la si intravede già) – Scott Snyder ci parla di una iniziativa di Gotham Gazzette, la quale chiede ai suoi cittadini di completare la frase: “Gotham è…”.

Un espediente narrativo brillante, e non l’unico, per introdurci, per la prima volta, alle bat-letture: avremo, secondo altre vie narrative, la presentazione dei comprimari della bat-family e dei nemici più classici per poterci innestare, agevolmente, nel tessuto sociale più autentico di Gotham. In questo, la Corte dei gufi fa sicuramente ciò che deve fare uno starting point che si rispetti. Tornando all’iniziativa editoriale gothamita, mentre verranno abbozzate le prime risposte sull’identità della città, il buon Greg soddisferà i nostri occhi e le nostre menti perverse con tratti dinamici, combattimenti coreografici, volti deturpanti dal puro male e tutto ciò che di orripilante e appagante possiamo trovare a Gotham (tanta roba).

Spesso ho sentito dire del duo Snyder e Capullo che sono “culo e camicia”. Senza andare a indagare chi sia il culo e chi la camicia, non posso che concordare. Fatico, realmente fatico, a leggere Snyder senza Capullo. E quando becco Greg mi viene istintivo pensare che la sceneggiatura sia di Scott. Insomma, si completano a vicenda come pochi. E come ho già detto altrove, vedere questo duo in azione – soprattutto in questa run – mi fa tornare bambino, suscitando in me le stesse sensazioni di The Batman (2004). Funzionano a tal punto insieme, da giungere a qualcosa di primordiale, a toccare l’emotività più nuda e vera.

L’altro espediente narrativo di Snyder, come anticipato, ha una doppia funzione: presentarci i comprimari della bat-family e mostrarci la portata dell’ossessione di Bruce. Tramite delle ingegnose lenti a contatto, Bruce anche quando finge di essere il giovane virgulto della famiglia Wayne, ha modo di portare con sé l’intera bat-caverna e il suo database. Perché mai smettere di esser Batman durante un gala? E forse ce lo chiediamo poiché siamo a digiuno di Batman inc che, ricordiamo, ha una seconda fase nei New 52, dunque parallela al Batman di Snyder. Con Batman Inc, abbiamo un periodo in cui Bruce Wayne non ha paura di rendersi manifesto e di prendere iniziative economiche invasive nei confronti dell’attività di Batman, è una fase in cui anche Bruce è molto presente sulla scena e i suoi campi d’azione sono, beh, le feste. In questo caso specifico, Bruce lancia un programma di ricostruzione di Gotham, sfruttando l’occasione per piazzare qui e là qualche Bat-bunker al fine di ridurre i tempi d’intervento.

Un paio di preziosi scambi con un nuovo personaggio che si rivelerà chiave, Lincoln March, e subito entriamo in contatto con il fondamentale tocco horror di Snyder e Capullo: l’amore per l’horror contemporaneo, fatto di cadaveri martoriati, scenografie dissacrate e putride, personalità distorte, follia, inconsci devastati. Ma è importante aggiungere che, l’elemento horror, è perfettamente introdotto in continuità con un altro aspetto, questa volta tradizionale per il pipistrello: il giallo.

Il primo contatto con la Corte dei gufi l’avremo proprio così: qualche dettaglio rilevabile solo da un esperto detective su un cadavere; un tassello di un piano più grande, una partita a scacchi fra Bruce e la Corte di cui questo è solo il primo movimento.

Il primo capitolo si chiude all’insegna del mistero. Non mi riferisco solo a quello che attualmente ci appare come un mistero – chi ci sta dietro a strani omicidi? Chi vuole morto Bruce Wayne? – ma Gotham stessa. Se ci siamo chiesti cos’è Gotham, il buon ubriacone del GCPD, Harvey non ha dubbi a riguardo: è un mistero. Non si può dire di conoscerla davvero, è lei che conosce te e quando credi di averci confidenza ecco che ti pugnala; vedremo come questo sia difatti il finale, ‘nsomma c’ha ragione lui. Questo discorso fa da contraltare alla strana situazione che si sta delineando: perché le tracce di DNA sul cadavere ritrovato è di Dick Grayson? Che sia lui a voler uccidere Bruce Wayne?

Capitolo 2: Scontro fra Leggende

Così come il primo numero, anche il secondo si apre in medias res. Con Bruce che viene scaraventato contro l’antica Wayne tower, progettata direttamente dalla tormentata figura di Alan Wayne (trisnonno di Bruce). Questo tentato omicidio è quello preannunciato nel primo numero. Una situazione che vede Batman inerme, colpito nei punti giusti dagli stessi coltelli da lancio visti in precedenza sul cadavere ritrovato. Bruce, semplicemente, precipita e viene salvato da un gargoyle decorativo. I protettori, i guardiani, voluti da Alan e Franklin Wayne, suo figlio .

Non è però particolarmente rilevante lo scontro fra Bruce e l’Artiglio (come si renderà manifesto più avanti), al quale segue la caduta dalla Wayne tower; lo è molto di più lo scontro di idee, di leggende e di concetti che man mano viene fuori. Batman da sempre – come stabilito da Morrison – è considerato una leggenda che negli anni si è concretizzata sempre di più. E così è la Corte dei gufi. Una leggenda di Gotham, una sua filastrocca. Una storiella fatta per incutere timore, per tenere diligenti i bambini. Eppure non è solo una leggenda, così come non lo è Batman. Gotham è Batman, conclude Bruce nel primo numero e qui, nel secondo, aggiunge: “l’unica leggenda di cui ha bisogno”.

È affascinante notare come qualcuno di scrupoloso come lui, sempre pronto al dubbio, sia così convinto che la Corte dei gufi non esista. Pecca forse di presunzione quando dirà, più avanti nell’opera, di averla cercata per anni e di non aver trovato mai un indizio. È difficile affibbiare un difetto logico ad un detective, ma difatti scambia una deduzione per una induzione: non ho mai visto alcun segno, dunque non esistono. Come chi afferma la non esistenza dei cigni neri dal fatto di non averne mai visto qualcuno. E poi invece ci sono, non solo i cigni ma anche i gufi. Seppur non rilevante, come affermato, è comunque bellissimo lo scontro con l’Artiglio. Rapido e violento per mano di Capullo, strepitoso calco delle parole di Snyder. Il quale descrive i pensieri di Bruce mentre analizza il suo avversario e le proprie possibilità di sopravvivenza. Un connubio inscindibile fra mente e corpo, didascalie e tavole, Snyder e Capullo.

Capitolo 3: Vizi di Famiglia

Nel terzo capitolo assistiamo a qualche stralcio di vita (instabile) di Alan Wayne (qualcosina l’abbiamo detta con la gestione di Morrison, o no?).

Il quale, ossessionato dai gufi, cade in un tombino in preda al panico: che coglione.

Tragicomico raccontata così, ma per quello che si inizia a intuire sulla veridicità della Corte dei gufi, un po’ più seria la faccenda, in verità, si fa. Se Alan Wayne rappresenta l’esito di una ossessione, Bruce è il suo sorgere. Accomunati dalla discendenza e quindi, per diritto di nascita, prede naturali dei gufi; proprio come i pipistrelli.

Uccidere i membri della famiglia Wayne è compito dell’Artiglio, il quale, però, per Bruce resta ancora un mistero. Fa parte davvero di una loggia segreta inconoscibile o vuole solo farlo credere? Perché sono così bravi a nascondersi dal miglior detective al mondo?  Non ci meravigliamo se anche Bruce possa rischiare così la follia. Abituato ad avere le cose in pugno, ad avere un piano. Un piano che senza conoscere il proprio avversario non può nemmeno abbozzare. Però Batman è davvero il miglior detective al mondo e quindi, vien da sé e per l’esigenze della narrazione che, finalmente, colga qualche indizio.

  1. I gufi non si costruiscono un nido, lo rubano.
  2. Alan Wayne ha costruito una città e lo ha fatto all’insegna della scaramanzia, dell’occulto, della paura verso il mistero. Tutto ciò su cui, poi, la Corte dei gufi ricama.

Ed ecco fatto: il covo è all’interno del “tredicesimo piano” nella Wayne tower antica (la stessa da cui è emerso l’Artiglio) che non è  propriamente un piano, ma un anfratto ufficioso fra due piani. Perché che fai, non lo fai il tredicesimo piano? Ok porta sfortuna, ma non è che puoi passare dal 12 al 14 e quindi ti inventi una nicchia di mezzo. Qui, Bruce, comprenderà come la Corte dei gufi esista davvero e che sia immischiata nella storia di Gotham da molto tempo.  Nonostante ciò, la Corte sembra sempre un passo avanti in questa sfida a scacchi, e Bruce salta in aria con il nido stesso, sotto all’occhio vigile dell’Artiglio. Un tentato omicidio ad ogni numero, ottimo ritmo rapace!

L’essere un passo avanti, l’assoluta inconoscibilità dell’organizzazione, uniti ad un vecchio senso di insoddisfazione e angoscia (che ora vedremo) rendono Bruce ossessionato, fin troppo vicino al pericolo e incurante delle conseguenze sul proprio corpo. Instancabilmente a lavoro, ad analizzare l’analizzabile nella sua Bat-caverna. Questo nonostante Alfred lo imbottisca – di nascosto – di sedativi. Non dorme, non vive, allontana tutti in questa sua lotta contro ai mulini a vento e vicinissimo alla follia di famiglia innescata dai gufi. Ed è questo, esattamente questo, a cui mi riferivo con “vecchio senso di insoddisfazione”. Perché, come si anticipava, Bruce ha già cercato la Corte. Lo ha fatto da bambino, subito dopo il duplice omicidio dei suoi genitori. Come è possibile che un signor nessuno come Jack Napier, possa essere la spiegazione per la morte di due personalità così in vista? C’entra forse qualcosa il nido di gufi ritrovato poco prima della morte dei suoi genitori? 

D’altronde la Corte dei gufi vive di simbolismi.

E così, affranto dal dolore, ma convinto che qualcuno più in alto dovesse pagare, Bruce apre il suo primo caso da detective. Collega i puntini, trova anche un luogo a cui fare riferimento ma resta solo con un pugno di mosche. Un trauma mai elaborato che passa attraverso un’organizzazione mai trovata, il più grande fallimento da detective nella sua carriera, ritorna proprio ora, quando quel trauma si è tramutato in rifiuto. Ancora una volta nell’assoluta incomprensibilità. Possiamo immaginare lo stato emotivo alterato di chi è abituato a uscire dai labirinti (ops) e che ora si trova completamente spaesato.

In una condizione analoga a quando era bambino, condizione mai mutata verso un’organizzazione più antica e invasiva della sua.

Capitoli 4 e 5: Il Labirinto della Follia

Nel quarto numero scopriamo esser passati otto giorni da quando Batman è rimasto intrappolato nel labirinto sotterraneo dei Gufi, lo stesso che ha condannato a morte Alan Wayne. Otto giorni senza pipistrello nella città, ed è per evitare che il pervasivo timore nei suoi confronti cessi, che Gordon si ostina a tenere acceso il bat-segnale. Una luce di speranza e di paura. Se Batman qui rappresenta la luce, nel labirinto è il nero, l’oscurità. Un’oscurità che si tiene ben lontana dalla luce, dal bianco, ovvero dall’oppressione vigile dei gufi. Affascinante inversione cromatica e di valori fra la superficie e ciò che a essa sottostà.

Uno dei momenti più alti di Capullo e – oserei dire – del Batman contemporaneo è proprio in questo quarto numero; con Mr. Prep ancora ne parliamo animatamente di questo Batman alterato, folle, sconnesso dal reale e, semplicemente, meraviglioso. Capullo è un maestro nell’esaltare la follia, che sia negli occhi iniettati di sangue e vividi, che sia nel linguaggio corporeo dei suoi soggetti. Batman nel labirinto restituisce l’importante caduta di chi è abituato a mantenere il controllo e a pianificare tutto. Gli stessi trucchetti, gli stessi stratagemmi di cui si prende la paternità, lo soggiogano nel profondo. Quasi a dirci che prima di Batman vi era già a Gotham chi, come lui, operava secondo la stessa logica. Un’entità composita, antica e ormai divenuta saggia dopo secoli di reiterazioni. Fare tutto questo dopo quanto riscoperto con il Ritorno di Bruce Wayne ci fa davvero credere che i New 52 abbiano incasinato tutto, o meglio: è colpa di Flash.

Batman è semplicemente impotente e instabile. E siamo forse disabituati a vederlo così alle strette, all’interno di tavole che fanno venire il mal di testa. Con le loro distorsioni e rotazioni, il disorientamento del lettore si avvicina a quello di Bruce (metanarrazione e narrazione), i discorsi sconnessi in didascalia, il gioco di luci e ombre continui , i fantasmi, i necrologi, le mappe, i dipinti grotteschi, la senilità, la paura e tutto l’orrido che una menta malata e stanca sa produrre. È tutto bellissimo, è tutto distortissimo.

E mentre Bruce viene ferito gravemente dall’Artiglio (di nuovo), in poche battute, Snyder sa restituire tutto il dolore di Damian nel vedere il bat-segnale fuori uso, esattamente nello stesso momento in cui Bruce rischia di morire. Una ferita troppo grave per Gotham; una ferita che non va mostrata, sia per darsi speranza sia per evitare l’anarchia. Ma con Batman Inc le cose non dovevano andare meglio? Dannato Flash.

Capitolo 6: Il Ritorno del Cavaliere

Capitolo 6. Batman è alla mercé della Corte e anche qui vi è una bellissima soluzione scelta da Capullo: mentre degli individui mascherati mettono a morte Bruce, dichiarando le modalità d’esecuzione che preferiscono, Bruce vede in loro dei mostri, delle chimere: metà rapaci, metà umani e con un colorito della pelle tendente al putrescente, come le loro anime. Potremmo dire che, in questo caso, le droghe nel suo corpo gli rendono la vista più chiara e meno distorta sulla natura maligna di questi esseri.

Queste distorsioni continuano e raggiungono una tale ampiezza da rivolgersi verso di sé, e così il commisto di reale e grottesco ammanta Bruce stesso, che ora si vede come un mostro dai tratti vampireschi. Vicino alla morte, quasi cercandola, i suoi occhi cadono sul quadro di Alan Wayne e vedendo gli occhi imploranti di questi, sente il dovere – quasi generazionale – di dover mutare il corso degli eventi, dopo secoli. Ciò fornisce l’energia per viversi come un mostro (necessario) fra i mostri, ritrovando se stesso osservando un altro Wayne. 

Batman si desta con una ritrovata sicurezza e, nel farlo, decostruisce l’alone di mistero dietro la Corte e l’Artiglio. Riuscirà a vedere in quest’ultimo solamente l’ennesimo scagnozzo da abbattere. E se cade il mito, e Bruce si riprende fisicamente per questo, è difficile che sia incapace di vincere uno scontro – ora – solamente fisico. Tolto il mito, tolta la paura atavica, resta solo un ennesimo cattivo in un’armatura scintillante. Ritrovando la propria fiducia, eccolo subito con un piano in canna. Una commistione di conoscenza  della città e delle nobili arti pirotecniche, permette a Bruce di rompere il labirinto e fuggire in prossimità di un fiume, promettendo di ritornare per prendere tutti quanti.

Oh! Ecco il nostro Batman vendicativo e preparato. E ci vuole, dato che è tutt’altro che finita. Un artiglio è solo un artiglio e una Corte di gufi, probabilmente, ne avrà più di uno sulle proprie zampe, no? Inoltre la Corte non appare sconvolta dalla fuga di Batman, tutt’altro. Semmai è compiaciuta dalle abilità da gladiatore di Bruce Wayne e dunque perché smettere di giocare?

Capitoli 7: La Fine?

Nel numero sette siamo agli sgoccioli di questo primo e, ovviamente, non unico contatto con i gufi. Un numero che ci affascina per le sue tensioni emotive e psicologiche. Bruce, a stento ritornato nella sua caverna, alla vista dell’Artiglio – per noi lettori è al momento incerto se si tratti o meno di un’allucinazione – perde tutta la fiducia ritrovata. È spaventato e si affida ad Alfred come suo unico sostegno, in una perfetta iconografia morrisoniana (vedi poco più avanti).

Ebbene questa non è una allucinazione. È il cadavere dell’Artiglio ritrovato dalla bat-family.

Bruce – ecco la tensione psicologica – passa dal terrore alla conoscenza, ergo, al suo lavoro. Vuole analizzare l’Artiglio e sembra volerlo fare con una istantanea volontà di conoscenza, una curiosità forse più forte del suo terrore viscerale. È struggente vedere Bruce affidarsi, come un ragazzino, alle braccia di Alfred. Ma dato che Snyder, in queste pagine in cui riflette sulle visioni di premorte, ricorda anche il famoso atto iniziale di Batman col pipistrello che entra dalla finestra, mi sembra più che legittimo pensare a quanto si è detto sulla verità ultima di Batman parlando della gestione Morrison, e di come questa si sia fondata proprio su di un atto di fiducia nei confronti di Alfred. Su questo punto ci torneremo, poiché Snyder nella sua gestione è attentissimo al rapporto fra Alfred e Bruce.

Il tema delle visioni di premorte è ciò che avvicina Bruce agli Artigli. Tutti, appassionatamente, vicini alla morte. Mentre Batman è ritornato a stento dall’aldilà con una consapevolezza di sé nuova ma instabile, tutti gli Artigli escono da questo processo di rinascita potenziati. Questi sono individui pescati dal passato, tenuti inattivi fino al momento giusto. I loro corpi, intanto, sono sapientemente potenziati, durante la stasi, dalla Corte. Una particolare lega nei loro corpi, l’electrum (composto di rame e argento), non solo permette loro di esser continuamente rianimati a distanza di decenni, ma apporta anche una rigenerazione cellulare. Vicini all’immortalità, potenziati fisicamente, addestrati, armati fino ai denti sono un esercito di zombie travestiti da rapaci da non sottovalutare. Bruce, nelle sue continue ricerche sull’Artiglio che ha sottomano, scopre che questi altri non è che il bisnonno di Dick Grayson. Creando un legame emotivo (ecco un’altra tensione) con chi sembrava esser solo uno sgherro e basta. E le tensioni emotive non finiscono qui: come il suo bisnonno, anche Dick era destinato a diventare un Artiglio. Lo testimonia la capsula dentale che ha in bocca, la quale – ricca di electum – avrebbe diffuso la lega in tutto il suo organismo, garantendogli lo stesso stato di semi-immortalità.

La Corte dei gufi si rifà, nella sua natura, alla civiltà greca e la capsula dentale è un simulacro della moneta necessaria per l’Ade. Snyder ci narra di come venisse impiegata proprio questa lega dalle alte proprietà conduttive, la stessa che garantisce, poi, la resurrezione. Il circo di Haly, ogni 10 anni, garantiva dei giovani acrobati alla Corte, affinché uno di essi potesse essere segretamente addestrato per essere l’Artiglio di quell’epoca. Il circo è la cosa più vicina alle arene dell’antichi. Le quali, famose per i gladiatori, erano anche ricolme di acrobati e giocolieri.

Dick doveva essere l’Artiglio di quest’epoca, ma dopo la morte dei suoi genitori, è stato adottato da Bruce.  Ed ecco che, in realtà, la Corte fosse, in prima istanza, legata a Dick e non a Bruce. Non era realmente lui il focus della Corte, bensì un “piccolo” ostacolo verso i propri obiettivi. Perché mostrarsi ora? Così abili da non lasciare mai una traccia della propria esistenza, perché adesso qualcosa si intravede? Anche qui abbiamo una buona risposta: per l’età di Dick e la sua attuale “maturazione” come possibile Artiglio. Bruce, in chiusura, conosce un’ultima tensione emotiva, un senso di inadeguatezza. Gotham ha sempre osservato Batman e lui credeva che fosse uno sguardo protettivo, ma la Corte e lo stato di premorte gli hanno restituito una realtà diversa: la Gotham che credeva sua non è mai esistita, la città è dei Gufi, e di conseguenza Batman è sempre stato un nemico della città stessa, non suo protettore men che meno suo conoscitore. Lo sguardo della città era uno sguardo da predatore verso una piccola preda ignara di esser predata e che, al contrario, ha subito una sindrome di Stoccolma; oh, Harvey lo aveva detto. Con il numero 8 entriamo nel vivo della Città dei gufi, e dopo quanto si è appena detto sull’appartenenza, non ci sorprenderà il nome di questo arco narrativo. Ma già il numero 7 ci dà queste avvisaglie, con la Corte che sguinzaglia tutti gli Artigli a disposizione su Gotham. Ma di questo ne parleremo la prossima volta.

Il primo arco narrativo di una buona gestione è un po’ il biglietto da visita per ciò che avverrà, sui punti su cui si vorrà lavorare. Leggendo la Corte dei gufi abbiamo avuto l’impressione di una generale decostruzione iniziale. Ma non in modo simbolico e ontologico come ha voluto fare Morrison: fra viaggi nel tempo, impensabili richieste di aiuto, apertura verso il prossimo ed energia Omega alle calcagna. Insomma, una commistione di metafisico e concettuale su cosa significa esser Batman. Snyder lavora direttamente sulla psiche di Bruce, lo mette alle strette. È una decostruzione, quindi, esistenziale. Bruce si sente vuoto, sotto stress, rigettato dalla propria città. Senza certezze, ricolmo di nuove paure e vecchi traumi. E non finirà certo qui tutto ciò. Lo vedremo presto con la Morte della famiglia, non che qualche trauma nuovo non si presenti già nella Città dei gufi. Rimanendo però fermi su questi primi sette numeri, il lavoro di decostruzione esistenziale è il cardine di un progetto stilisticamente ambizioso: provare a far interagire – in modo organico – una narrazione stretta, biografica ed emotiva con elementi del folklore, della mitologia, del canone moderno horror, dei thriller psicologici e dei gialli intricati. E così la Corte dei gufi è già tutto questo, uno specchio ideale (una monade) di tutto il progetto che sarà. Un’organizzazione settaria che costruisce se stessa sul mito e sul folklore. L’electrum fa da ponte fra il mito e l’horror. E la pervasività della Corte è ciò che manda fuori di testa Bruce, lo rende tutto ciò che di norma non è: fuori controllo. Il labirinto, poi, è il colpo di grazia nella storia di una mente che si perde. Capullo è, semplicemente, la persona che vorresti al tuo fianco per realizzare tutto questo. Con la sua espressività straordinaria, il tocco horror mai banale, la fisicità dura e cruda e la sua naturale tendenza verso la follia.

Probabilmente il momento più alto del duo sul personaggio, in quanto brillante sintesi degli intenti e dei talenti di entrambi gli autori.

Imperdibile.

10

Sceneggiatura

10.0/10

Disegni

10.0/10

Pros

  • Manifesto del Batman contemporaneo
  • Rara sinergia fra sceneggiatore e disegnatore
  • Uno starting point ideale per il personaggio

Zeno

Laureato in filosofia, maestro d'ascia e immenso mentitore. Passa le sue giornate ad acquistare fumetti che forse un giorno leggerà e mai recensirà. Fra le altre cose è degno di sollevare mjolnir, ha un anello delle lanterne verdi nel cassetto ed è il cugino di Hegel.