Un tempo, non troppo lontano, si concluse la Guerra dei Regni e con essa Thor divenne Re. Senza un braccio, senza un occhio, con un regno sulle proprie spalle e la volontà di direzionare Asgard in un modo molto diverso da Odino. Il nuovo Re costruisce la propria dimora a sua immagine, legno e pietra – propri del Dio nato dalla madre terra – e che poco hanno a che fare con la città d’oro.
Un Thor più serio, un martello più pesante. Questo è il Thor di Donny Cates e Nic Klein.
Prima di procedere oltre, se siete ignari dei lavori cosmici di Donny Cates per la Marvel vi suggeriscono di recuperarli, ma se proprio non vi va di leggerli ci sono due articoletti qui sul sito che fanno al caso vostro:
Winter is Coming
L’inverno nero sta arrivando, una piaga stellare, il buco nelle cose, la morte termica, fimbulwinter, il niente al centro del ciclo di morti e rinascita del Ragnarok (e visto per la prima volta in Silver Surfer nero). Chi la conosce meglio se non Galactus, che l’ha già vissuta? Per chi non lo sapesse, infatti, Galan (come era noto da mortale il divoratore di mondi) è l’unico essere vivente ad esser sopravvissuto alla fine dell’universo che precede quello attuale, e nell’esplosione cosmica del Big bang ha guadagnato i suoi enormi poteri e uno status ontologico nuovo.
Come fermare ciò che non può esser fermato? Cates, amante dei power up e dei personaggi Op (come abbiamo ricordato qui), decide che l’unico modo prevede un drastico potenziamento di Galactus, unica risorsa contro l’Inverno nero. Per tale ragione, un altrettanto nero, Silver Surfer, vuole offrire alle mastodontiche fauci di Galactus ben cinque pianeti dalla peculiare energia. Questi pianeti sono sempre stati opportunamente tenuti all’oscuro del divoratore, in quanto irripetibili e preziose fonti energetiche. Dal canto suo, Galactus giunge, morente, ad Asgard. Perché? Perché nel buco di tutte le cose, quando era Galan, ha visto la sua vera morte, la fine di tutte le cose. La quale aveva il volto di Thor. E dunque ha ben pensato di averlo vicino per contrastare l’unica cosa che realmente teme (forse aggiungendoci anche il Dio del tuono di riflesso). Quando Galactus vuol tenere vicino qualcuno è solito trasformarlo in un araldo e dunque…
Date il benvenuto al Fighissimo Thor, araldo del potente Galactus!
Dopo il fighissimo Hulk, poteva essere davvero il titolo della nuova testata.
La condizione araldica restituisce al figlio di Odino – ahimè – un braccio e un occhio. In questo stato di cose, ad un Thor serioso e ora anche araldo, fa compagnia un Mondo putrescente, Yggdrasil compreso. Una cappa pesante che invade tutto il creato. Il buco nelle cose, appunto. A cosa pensiamo noi fumettari navigati? alla DC, a Darkseid. Ad altri supereroi che ormai, nella celebra tavola di Klein, sembrano appartenere – spregiudicatamente – al multiverso Marvel.
Se Galactus è l’unica possibilità, e deve assorbire la vita di cinque pianeti, come metterla con chi li abita? Ovviamente Thor, Dio ben diverso da Odino, è il Dio dell’umanità e si ribella a Galactus stesso. Impensabile per un araldo contrastare Galactus? Ma è Thor, non è un araldo come gli altri e dunque, non solo si ribella, ma l’ha anche vinta ospitando quante più creature possibile nella sua Asgard.
La difficile vita di un Re
Con una narrazione epica fuori campo, Cates dà il ritmo alla propria storia. In questi attimi, riesce a proporre una buona riflessione sul Thor del passato e di quanto differisca da quello attuale. Come accadeva in Generation, con il primo avevamo un giovane guerriero che veniva continuamente chiamato alla guerra dai mortali. Senza troppo pensare alle implicazioni di questa o di quella guerra, dove esse fossero, se fossero giuste, se ci fosse o meno – in definitiva – una parte giusta. Nulla contava se non la guerra, nel fango, fra le pietre, il legno e il ferro. Ora, per un Re, questa guerra e tutte le altre sono rilevanti. Importano, hanno un peso, richiedono un momento di sospensione e di riflessione. Una giusta sintesi di un Thor della terra, del fango, e un Thor Re, è il modo in cui egli ripensa Asgard. Come si ricordava, fatta proprio di pietra, legno e ferro. Nonostante ciò, non tutti sono d’accordo con le sue decisioni regali, nello specifico di fare un accordo con Galactus e agire da solo in avanscoperta; e pertanto non propriamente come Re, non come chi ha il peso di centinaia di coscienze. Beta Rey Bills è fra coloro che chiede a Thor di agire diversamente. Antico nemico e da tempo amico fraterno, inizia uno scontro col suo nuovo Re. Uno scontro impari, con Thor ormai dai poteri di Odino e Galactus, che distrugge brutalmente Stormbreaker, lasciando Beta Rey Bills indifeso, distrutto, shockato nel vedere un suo fratello così. E qui giunge Syf a proteggere Beta Rey da Thor, e non viceversa come imporrebbe il codice regale. Una riflessione sull’essere Re segue questo brutale scontro fraterno: Thor tende ad essere come suo padre, quando Syf – e probabilmente tutta Asgard – gli chiedere di essere migliore. Non tanto per la pigrizia quanto per lo scendere troppo facilmente a compromessi e senza che nessun altro abbia voce in capitolo. Ma Thor, cocciuto quanto il padre, continua il suo viaggio con Galactus. Questi assorbe i restanti pianeti, mentre Thor, in lacrime e con cinque macchie nere nell’animo, ci fa chiedere se Odino non fosse da giovane esattamente come Thor, e con tutte queste macchie allo spirito, e per via di queste, non sia diventato qualcos’altro. Non è questo essere Re? Prendere le decisioni che nessuno vuole prendere e senza preoccuparsi egoisticamente della propria anima? Lasciar alle spalle la propria felicità poiché sulle spalle hai un regno, un mondo, l’universo. La felicità la garantisci a tuoi sudditi, non la vivi: pesante è il capo che regge la corona.
Arrivati ormai a tu per tu con l’Inverno nero, l’ombra si mostra come la vera morte di chi guarda. Se per Galactus, il volto della morte era quello di Thor, quest’ultimo cosa vede? In un primo momento, gli si parano davanti tutti i nemici, quelli mitologico come Surtur e il Jǫrmungandr e quelli più interni al mondo Marvel come Doom, e i neo mitologici di casa Marvel come Mangog e Gorr. Insomma, tutti. Il destino di un Dio è meno netto, più sfumato, meno lineare. Tuttavia è intenzione dell’ombra non mostrarsi con una sola identità a Thor, non per ora. Quel che è interessante è che Galactus ha mentito, l’ombra non è li per distrugger la realtà e ricrearla ma per reclamare ciò che è proprio, il proprio araldo…Galactus ?! Seriamente, da dove si origina questa fissazione di Cates per gli araldi?
A quanto pare l’ombra dell’inverno è responsabile della sopravvivenza e del potere di Galan, e Thor si trova in mezzo a una guerra che è solo personale e non cosmica come sembrava. A questo punto Thor mostra tutto il suo potere, ribellandosi, ma facendolo per bene questa volta. Nonostante un Galactus potenziato, Thor si fa valere. E ancora una volta lo fa a spese di Galactus. Solo che ora il divoratore è ancora più potente. Ma Thor è un Dio, Re di Asgard, signore del tuono. Cates mostra il vero potenziale di Thor, e lo fa con la solita narrazione epica a cui ci ha abituati negli anni.
È appagante vedere Thor con la sua supremazia tanto regale e divina, e di come abbatta Galactus con un niente, privandolo dei suoi poteri. Ma Thor è Thor, non Odino. Non consegna Galactus all’ombra, piuttosto impiega Galactus come bomba energetica (e questo invece è proprio da Donny Cates). Se l’avversario è un’ombra, la generazione di una luce superiore può cancellarla (proprio come accaduto in Silver Surfer Nero). E quel che segue è un flusso di luce sconfinato che riduce l’ombra ad un solo fiocco di neve nero. Prima di sparire del tutto, l’ombra oscura mostrerà la vera morte a Thor.
La mela non cade lontano
Ci spostiamo ad Agsard, dove l’elmo di Galactus funge da grande arco per la residenza di Thor; qui tornerà il problema dell’anomalia che accompagna Mjolnir, addirittura sollevato da Loki, e avremo un Thor che nonostante le differenze, assomiglia sempre di più al padre. Lì seduto sul trono, dopo una vittoria, pensieroso, angosciato. Non il Thor delle bevute, ma un Thor incupito per il futuro. E anche qui, il tocco di Klein è quel che serve per esprimere a pieno il dolore cosmico di Thor. Verrà a fargli visita il più famoso fra gli araldi di Galactus, Silver surfer. Qui nelle vesti nere, come voluto da Cates (seriamente, leggetevi gli articoli). Una sequenza drammatica, nei tratti scelti da Klein e nell’inquietudine di Thor verso ciò che lo aspetta, verso l’oscurità che ha visto.
Conclusioni
Un primo arco narrativo volto alla normalizzazione di Thor, dopo anni di deturpazioni fisiche e mortificazioni spirituali a opera di Jason Aaron. Uno status Quo temporaneo da araldo, quasi una firma di Cates, una narrazione epica che accompagna situazioni tamarre (altra firma).
I disegni sono notevoli, epici, corpi possenti, tratto preciso e aggressivo, ci perdiamo qualcosa sui campi lunghi e sulle scene con molti soggetti, ma in generale il lavoro è ottimo. la caratterizzazione del Thor araldo l’ho adorata fin dall’inizio. Sia per la copertina dell’albo dell’amato Olivier Coipel sia per il lavoro di Klein al suo interno. Con un corpo delle volte deformed, quei capelli lisci e lunghi, un pesante alone di negatività, con l’armatura ingombrante, la runa luminosa, il cerchietto nero sulla testa, ci appare come un riuscito ibrido fra Arthas, un nano coriaceo ed un elfo della luce decaduto. Cates, rispetto a quanto fato su Venom (lo vedremo, nella sua interezza, prossimamente), sembra andare con i piedi di piombo. Non fraintendetemi, succedono tante cose ma con Venom si aveva l’intenzione di mutare lo status quo e la mitologia del personaggio e del suo mondo fin da subito e drasticamente, qui assistiamo a una sorta di “rispetto” verso il personaggio, e sicuramente verso le ottime gestioni precedenti. Ce ne rendiamo conto quando Thor è capace di contrastare Galactus con le proprie forze, senza ricorrere ad altro; è evidente l’intenzione di sviluppare il pieno potenziale di Thor, che non richiede aggiunte e così la commistione araldica solita di Cates resta quasi solamente una firma dell’autore. Un primo arco che si rispetti, ed è questo il caso, non chiude mai la prima porta che viene aperta. È pleonastico supporre un ritorno del Black winter in futuro, e in attesa di quel momento, possiamo parlare di un buon inizio, che mantiene salda la tradizione degli ottimi disegnatori sulla testata e che si caratterizza per delle premesse appaganti, tamarre e fantasiose alla Donny Cates. Il quale ama destreggiarsi fra strani power up e continui cambi di status quo. Araldo in 5 minuti e per 2, cos’altro? Si rispetterà o meno la mitologia preesistente? Ripescare dal passato e preservarlo è ciò che muove il secondo arco narrativo, ma questa è un’altra storia.
Laureato in filosofia, maestro d’ascia e immenso mentitore. Passa le sue giornate ad acquistare fumetti che forse un giorno leggerà e mai recensirà.
Fra le altre cose è degno di sollevare mjolnir, ha un anello delle lanterne verdi nel cassetto ed è il cugino di Hegel.