Spesso un titolo di un fumetto non significa molto e rappresenta, anzi, un’insidiosa e capziosa anticipazione di ciò che andremo a leggere. È allusivo, analogico, depistante delle volte. Raramente, però, la situazione è meno fosca di così ed è questo il caso. Ciò che leggiamo nel titolo è ciò che ritroveremo nella lettura: Wolverine va all’inferno. È così che si apre il primo numero firmato da Jason Aaron e Renato Guedes per la testata di Wolverine del 2010.

La prima parte di questa run è incentrata su di un doloroso confronto fra Wolverine e i suoi demoni, letteralmente. La sua anima, per il momento senza saperne troppo di più, finisce all’inferno mentre il suo corpo, nel mondo materiale, viene posseduto da un demone. All’inferno Logan, privo di uno scheletro di adamantio, incontra nuovamente le sue vittime. Il diavolo fa da spettatore, a quella che ci appare come una lotta fra gladiatori dannati. Preziosi sono i dialoghi fra sé e sé che danno un ritmo e un senso spirituale agli scontri privi di interruzioni.

Il dolore che prova fisicamente (ma in realtà spiritualmente) nell’affrontare persone che lui stesso ha ucciso richiama sentimenti negativi, i soliti a cui siamo abituati quando pensiamo a Wolverine. Fra i dannati, Logan incontrerà il padre biologico [vedasi ‘Origini’ di Jenkins, NdR ], in un momento del tutto grottesco in cui questi si dichiarerà fiero del figlio. L’odio che ha provato nei decenni per la prole che ha posto fine alla sua vita, la rabbia, la furia e la vendetta lasceranno spazio solo ad un oscuro orgoglio verso colui che, più di qualsiasi altro Logan (ricordiamo che, infatti, Logan è il suo cognome ) ha ucciso e inferto dolore al prossimo.

Merito e Colpevolezza

Più tempo passa negli inferi e più Wolverine sente di dover appartenere legittimamente a quel mondo. Se uccidere è l’unica cosa che sa fare, e se l’evidenza denota quanto si sia rivelato bravo, merita tutto questo.

La colpa è il centro di tutta la storia, Wolverine – per qualcuno – merita l’inferno e ha ben deciso di spedircelo. Questo però lo vedremo meglio nell’ultima parte dell’articolo, contenente spoiler. Pertanto, prima di arrivarci, proverò a fornire una conclusione pro acquisto quanto più libera da spoiler possibile, dando l’opportunità di ritornare qui in un secondo momento per il reale epilogo dell’articolo.

Avvisati tutti, qualcuno potrebbe chiedersi cosa stia accadendo nel mondo materiale con un Wolverine demoniaco. Ebbene, l’inferno in Terra. Non è la prima volta che il corpo della macchina da morte più efficiente viene posseduto da qualche entità o corporazione. Ricordiamo rapidamente Nemico pubblico di Mark Millar. Molte sono le analogie (così come la presenza di un’organizzazione quasi omonima alle spalle di tutto) ma anche le differenze. Se Millar si concentra maggiormente sulla pericolosità di Wolverine fuori di sé (ricordiamo anche Old man Logan in merito), Aaron si concentra sugli aspetti spirituali del Logan all’inferno. Ciò, però, non esclude la presenza di numerose scene (tamarre, come solo Aaron sa concepire) ritraenti il ghiottone demoniaco, ora anche con artigli infiammabili (come farà poi Charles Soule nel ritorno di Wolverine, ironicamente anche lì di ritorno dalla morte) alle prese con orde di X-men. Mentre Wolverine negli inferi sembra guadagnare sempre di più un posto di rilievo nella gerarchia infernale, nel mondo materiale c’è chi si prodiga a riportare la sua anima al proprio posto (anche per motivi meramente egoistici). Compiutosi l’esorcismo, e ponendo un punto al titolo della storia, entriamo nel lato meno tamarro e più emotivo della mente di Jason Aaron.

Conclusioni senza Spoiler

Wolverine goes to hell è una storia particolare. Senza eccessive conseguenze per la continuity, permette una agevole lettura indipendente dai miasmi editoriali. Il titolo, per quanto esatto, rispetta comunque l’omni-invadente ombra di ambiguità che ricopre i nostri amati comics. Se è pur vero che Wolverine finisce letteralmente all’inferno, il vero senso di questo “inferno” nel titolo non è tanto quello composto da fiamme e diavoli bensì quello personale. Quello, cioè, che caratterizza la seconda parte dell’opera.

Una nota di merito per le copertine di Jae Lee e June Chung, le quali sono fra le più belle che io abbia mai visto dedicate all’artigliato, e all’interno dei singoli numeri, Guades e soci non sono da meno. Soprattutto nei dinamicissimi scontri infernali.

Questa è una storia emotiva, con una costruzione psicologica notevole soprattutto nella parte che volutamente vi sto tenendo celata. La tamarraggine di Aaron, ben vistosa nei capitoli infernali, fa compagnia alla sua profonda sensibilità nella seconda. Leggendo Wolverine ci si aspettano tante botte, mutilazioni, autocommiserazione, dolore, cicli di morte e rinascita, spiriti spezzati  e personalità frantumate. Un personaggio così longevo ha una lunga lista di nemici – e morti – sulla coscienza. Entrambi, in modi diversi, sono il nucleo stesso dell’opera. La colpa, come si diceva, non è solo ciò che caratterizza Wolverine, non è il solo a dannarsi, ma c’è una folta schiera di loschi individui pronta a farlo bruciare all’inferno. Ma Wolverine è duro da uccidere e questo fa impazzire chiunque sia in vena di vendetta. Come fare? Come punirlo? Ucciderlo è fuori discussione, ma il dolore è tutt’altra cosa soprattutto quello non fisico.

Perché leggerlo?

Per chi è a digiuno di storie su Wolverine, questo è un buon punto di partenza. Non saprete molto sul suo passato ma avrete una panoramica più che degna su ciò che Wolverine rappresenta. Un eroe, un vendicatore, un rabbioso e spezzato essere umano. Abituato ad affrontare il dolore da solo, pur non essendo mai solo. Per due volte Logan si salverà e per due volte sarà per merito dei propri alleati. Ne collezioni più di qualcuno, e dunque non solo nemici, vivendo più di un secolo.

Diviso fra umanità e bestialità, il lascito di un gene sbagliato, una insaziabile sfortuna, la paura di ferire il prossimo, la consapevolezza di non esser altro che un’arma. Se volete conoscere quest’anima dannata, perché non partire dal luogo in cui le anime sono dannate?

MOMENTO SPOILER

Se conoscete già la storia o volete conoscerla, insensibili agli spoiler, è giusto ribadire come il ritorno di Wolverine nel mondo materiale sia solo l’inizio della reale storia pensata da Aaron.  Sempre più invadente si fa la presenza di un’oscura organizzazione orbitante intorno a Logan: la Red Right Hand (non fatemelo scrivere in italiano). Un gruppo di individui coinvolti collateralmente nelle gesta di Wolverine. Le solite “conseguenze ” alla Civil war, insomma. Superstiti, vedove e orfani. Vite distrutte, volontariamente o meno, da Wolverine. 

Aaron si prende il proprio tempo per narrare alcune di queste vite distrutte, dimostrando una profonda intensità con una caratterizzazione di alcuni profili psicologici davvero interessante. Una di queste storie (la prima) mi ha ricordato un altro lavoro di Millar – Prisoner number zero – su Wolverine (2003), il numero 32. In questa storia ambientata nel passato, abbiamo un rovesciamento grottesco: Logan, in un campo di concentramento, incapace di morire. Una situazione incresciosa per chiunque abbia il compito di giustiziarlo. Dopo innumerevoli tentativi, e ingiustificate guarigioni, la follia invade le menti dei carnefici tedeschi. Storiche sono le parole con cui si chiude questa particolare storia:

Anche la prima storia che Aaron decide di mostrarci ha un andamento simile. Un figlio privato del padre per mano (o per artigli) nel nostro mutante. Si dia il caso però che, il suddetto padre, non fosse proprio un santo, ma ciò non bastò a placare lo spirito vendicativo del figlio. Cresciuto con il solo desiderio di vendicarsi, un giorno – dopo averlo faticosamente rintracciato – provò a porre fine alle pene di Logan sparandogli. Una classica storia di vendetta. Con tanto di pensieri rappacificanti fra le didascalie dedicate al vendicatore, che ormai può finalmente lasciarsi alle spalle la vicenda (e il cadavere) e provare a costruirsi una vita. Tuttavia, come possiamo immaginare, Logan si rialzò e i pensieri rappacificanti mutarono in un qualcosa di nuovo, incomprensibile. Questo fu solo il primo di una lunga serie di tentati omicidi, sempre infruttuosi. Nel corso degli anni, fra mille piani, questo giovane vendicatore – bambino prima, adulto poi – iniziò a conoscere i segni dell’età, mentre il suo avversario, no.

Logiche e spiriti frantumati

Come nella storia di Millar, Wolverine rompe la logica della narrazione, il modo in cui ci si aspetta che vadano le cose in un determinato genere letterario. La vendetta nei confronti di un immortale genera pazzia. Quasi come se i personaggi percepissero la mancanza della logica nelle loro storie. Una ribellione degli stessi che si oppongono all’assenza del naturale epilogo. Ma è qui l’errore, la storia non è la loro ma quella di Wolverine che, per sua naturale esistenza, compenetra in migliaia di storie e vite altrui. Se dunque la morte è fuori questione, la Red Right Hand non può che tendere al dolore. Nel grande piano delle cose, spedire il loro nemico all’inferno, al fine di fargli incontrare le proprie vittime, era solo l’inizio.

A dare una mano per la parte più becera del loro piano, vi è Daken; figlio e nemico di Wolverine. Il piano della mano, a questo punto, sembra piuttosto semplice: attirare a sé Wolverine, vendicativo e incazzoso. Qui lo attende una struttura ricolma di nemici da abbattere (in stile Game of Death di Bruce Lee). Senza troppi problemi, Logan uccide e mutila chiunque gli si pari davanti. Ma prima di raggiungere la stanza che ospita gli esponenti della Red Right Hand, questi si suicidano in massa. Perché? Beh, per negare la vendetta a Wolverine. Parte del piano prevedeva la mancata soddisfazione, negargliela col più folle del gesti. Ad aspettare Logan, invece, ci sarà un video e un dossier che spiegherà tutto ciò che dobbiamo sapere.  La Red Right Hand spiegherà come, grazie all’aiuto di Daken, siano stati reclutati tutti i figli biologici di Wolverine, successivamente addestrati per combattere, ma non per vincere. Il piano prevedeva la loro morte, affinché Logan si sporcasse del proprio sangue.

Il dolore del perdere i propri familiari, la colpa, insomma il motore stesso della Red Right Hand, tutto questo è ciò che l’artigliato doveva provare. Come ci si aspetterebbe, Logan ha un crollo psicologico e la Red Right Hand vince.

Segue una grottesca sequenza che ritrae i membri dell’organizzazione anti-artigliato negli stessi inferi che hanno ospitato in precedenza Logan, e qui – finalmente – possono ricongiungersi con i familiari, felici seppur dannati. Eppure non tutte le vittime di Logan erano condannati all’inferno, così morì infatti una donna innocente, la quale – predisposta alle cure mediche di Logan stesso – si ritrovò lacerata dagli artigli al momento di un raptus. Il figlio, ancora bambino, decidendo di vendicarsi, entra nella Red Right Hand. Come gli altri, finisce all’inferno ma qui non troverà sua madre, chiaramente innocente.

È questo il momento che, a mio giudizio, rappresenta nel modo più dignitoso il paradosso di questa storia: la vendetta, la colpa e l’assurdo epilogo che riguardano un bambino colpevole e una madre innocente. Separati nell’aldilà a causa del dolore. Lo stesso dolore che spingerà Wolverine a disperdersi fra le montagne insieme ai lupi. Una scena ricorrente, l’unico modo che Logan conosce per affrontare i suoi demoni: regredire alla bestia che crede di essere. “Non più Wolverine” recita il capitolo conclusivo, ma come molte cose nei fumetti è assai temporaneo. La sua devastazione emotiva, lo spirito già fragile e ora frantumato, riceveranno l’aiuto di amici e colleghi, pronti ad aspettarlo fra montagne. Ricordandoci chi è davvero Wolverine. Per due volte Logan viene salvato da altri, come si diceva in precedenza.

Da chi ha il fattore rigenerante, ci si aspetterebbe che si salvi da solo e spesso è così, ma non in questa storia. Il fattore rigenerante ha generato la colpa, il dolore secolare, la scia di sangue e i numerosi figli. Può il veleno esser la cura? Voluto l’accostamento ai vaccini,  è questo il caso. Logan non è solo, non lo è mai stato. La scia di dolore del fattore rigenerante non è l’unico risultato tangibile nel mondo che Wolverine lascia col suo vissuto. I semi del suo operato, per quanto turbolento e disastroso, germogliano e lo accompagnano nel suo viaggio secolare.


Zeno

Laureato in filosofia, maestro d'ascia e immenso mentitore. Passa le sue giornate ad acquistare fumetti che forse un giorno leggerà e mai recensirà. Fra le altre cose è degno di sollevare mjolnir, ha un anello delle lanterne verdi nel cassetto ed è il cugino di Hegel.