Quanti Joker ci sono in un mazzo di carte? Due.
Quanti Joker vengono presentati in questa storia? Tre.
Quanti ne resteranno in vita? Uno solo.
È possibile dare un’origine alla follia? E se Joker è un’idea, può esserci più di un Joker?
La risposta alla seconda domanda è “sì”. Mentre la risposta alla prima è ” dipende”, perché non è tanto importante se sia possibile o meno darne un’origine, ma se sia interessante narrarla. Su questa precisa consapevolezza Geoff Johns e Jason Fabok danno vita ad un bizzarro progetto in tre parti per l’etichetta Black label di Dc comics.
Ci eravamo già lasciati con l’idea di parlarne un domani, chiudendola lì con Derrida e la possibilità di reiterare un’idea, in quanto gesto connaturato dell’idea stessa. Eravamo incuriositi – quantomeno lo ero io – da un Joker non biografico, da un Joker che non è un uomo con un’origine, dei bisogni fisici e un nome. L’idea di Johns non è esattamente questa, e proietta il discorso sulla domanda: ma è davvero importante? Lo sforzo dell’amato – quantomeno da me – sceneggiatore è quello di mettere vicinissimi Batman e Joker, quanto basta da fare dire ad entrambi: io so chi sei, ma non è importante.
Ne parlammo insieme su quella strana sedia cosmica…
Batman è importante per il Joker, ma lo sarebbe se la doppia vita di Bruce Wayne venisse allo scoperto? E no! Perché tutto finirebbe lì. È un tema ricorrente da Frank Miller a Scott Snyder: a Joker interessa solo Batman, nient’altro. Ma se il pagliaccione di Gotham sa chi è Batman, anche Batman sa chi è lui, grande novità di questa storia. Più precisamente: sa il suo nome di battesimo, nient’altro. Non si può dire che Batman conosca davvero Joker, conosce solo il nome della persona che esisteva prima di Joker. Tutta la storia, altrimenti, non avrebbe senso e, con lei, neanche le proprie premesse. Dobbiamo infatti ricordare che, ai tempi di new 52, Batman è stato per una breve parentesi una sorta di divinità della conoscenza per mezzo della sedia di Metron e ciò lo ha spinto a chiedere alla sedia Mobius quale fosse la vera identità di Joker. Dobbiamo notare come, in quella circostanza, Bruce avesse chieso specificatamente del suo nome.
Ma perché, direte voi? Chi ha letto la storia dei Tre Joker sa che Batman dichiara apertamente di conoscer il suo nome da anni, già dopo una settimana dal loro primo incontro. Banalmente, era una domanda di test. Per comprovare le presunte abilità conoscitive dello strumento di Metron. Infatti, prima di chiedere di Joker, Bruce chiederà chi è l’assassino dei coniugi Wayne, conoscendo benissimo da sempre la risposta. Ciò che lo spiazza è la risposta della sedia alla sua domanda di test: di Joker, in giro, ce ne sono tre. Questo dimostra che Batman ci ha capito, da sempre, ben poco del suo rivale? Tanto poco da non distinguerlo mai? Errore da detective o riprova del fatto che Joker è un’idea e che può avere più incarnazioni, anche in contemporanea, e che – in definitiva – ciò che di lui colpisce non è l’aspetto umano e biografico bensì quello ideale? Come stanno le cose lo lascio alla libertà di ognuno, certo è che Batman non la prende bene; l’idea di un mistero mai – e dico mai – percepito lo devasta per tutta la durata di Rebirth. È oltremodo insufficiente la conoscenza del suo nome quando in giro ce ne sono tre e non si ha la più pallida idea di cosa sia loro capitato.
Ma chi sono questi tre Joker? Sinteticamente: il Criminale, il Clown e il Comico. Il primo è il più anziano e serioso dei tre, incarna il primissimo Joker della Golden Age. Il criminale poco pazzo e tanto avaro, con le tipiche dinamiche da gangster e da ladro, semplicemente vestito da deficiente.
Il secondo è il responsabile della morte di Jason Todd, dalle entrate teatrali e interessato solo al caos e al melodramma, un altro deficiente ma lievemente più inquetante con tanto di sidekick: Gaggy, siamo negli anni Sessanta . Il terzo è quello più noto, direttamente da The Killing Joke è, dunque, quello che conosciamo maggiormente. Questo perché è stato ampiamente sviluppato nell’epoca contemporanea con Scott Snyder nei New 52, dalla faccia strappata e dalla mente intimamente distorta ha conquistato tutti – quantomeno me.
Un uomo come un altro e che passa una brutta giornata, quel che serve per generare – fra i tre – il Joker più misterioso, perché cosa lui esattamente voglia non ci è dato saperlo. È ossessionato da Batman, ma in definitiva lo sono tutti e tre. È infatti questo il motivo che spinge la cricca dei Joker ad unir le forze. Si sentono messi in secondo piano. Non sono il pensiero unico di Batman, il quale ha invece tanto a cui pensare. Traumi del passato, la sanità mentale della sua Bat family, per non parlare del resto di Gotham e Arkham. I Joker vogliono creare il Joker definitivo, un pagliaccio fresco di acidi, che conservi una propria identità biografica e che sia il pensiero fisso di Batman. Chi mai potrà esserlo? Jason Todd? Joe Chill ?
Fuori uno!
Il primo, da Red Hood, sembra quasi che sia già sul sentiero giusto per essere poi Joker, il secondo è l’omicida dei coniugi Wayne ed è, dunque, già il pensiero fisso di Bruce. Chi meglio di lui? Jason è una figura invadente in questa storia, a tratti pare il sequel diretto di Under the Red Hood. Tutto si risolve con una vendetta che – finalmente – si consuma, Johns fa quello che Winick non poteva fare: hai diritto a uccidere Joker solo se intanto li moltiplichi, questa è la risposta degli editor Dc. Jason uccide il suo Joker, proprio quello che – a sua volta – lo uccise con un piede di porco (che casino i comics).
Barbara, vittima del Joker di the Killing Joke, è un’altra presenza invadente. Lei non asseconda e, anzi, stigmatizza la soluzione di Jason. Ne è inorridita, quasi che viva in prima persona, con una pistola in mano, quel gesto. Lei non cede alla vendetta, altrimenti non avremmo questa storia. Perché, se ne resterà uno solo ,e il Pagliaccio è fuori dai giochi, pensate davvero che il Joker sopravvissuto sia quello della Golden Age? Vi sembra plausibile? O non è più facile introdurre due anacronismi del passato giusto per farli fuori e normalizzare la situazione lasciando – esattamente – l’unico Joker che tutti si aspettano? Suvvia, è comunque continuity!
Fuori un altro!
Il nostro Joker Golden age si è presentato come il nume della ragione di questo trio ma è tutta apparenza, è solo la presenza più malinconica di tutta la storia. Per chi ride soffrendone terribilmente, la morte non può che essere un sollievo.
È ovviamente il Joker di The Killing Joke a sopravvivere. Perché è quello più moderno, caratterizzato e che ha avuto il seguito maggiore. Ironicamente, è quello che conosciamo un po’ meglio, ma mai quanto basta. È, anzi, proprio lui a incuriosisci più degli altri per quanto attiene alla sua identità. Incarna, poi, l’opinione comune: dare un’identità a Joker è grottesco, toglie tutto il divertimento. Joker deve essere un’astrazione, pena renderlo l’ultimo fra gli idioti ad Arkham.
È probabilmente lui il creatore degli altri due, lui stesso è creatore inconsapevole di sé. Ed è, dunque, l’unico – per vie accertate – dei tre che è entrato senza alcun dubbio in diretto contatto con il processo di jokerizzazione. Tutto sembra normalizzarsi alla fine di questa storia: da tre che erano, ora ne resta uno solo ed è quello che tutti ci aspettavamo.
M A G O N E
Però qualche cosa in più la sappiamo. Qualcosa questa storia ci lascia. Come si diceva a inizio articolo, Bruce conosce il nome di quel comico squattrinato di The Killing Joke. Perché non rivelarlo al mondo? Non perché non sarebbe più divertente (o forse sì) ma perché quell’uomo aveva generato un figlio.
Come dite? La moglie incinta muore in The Killing Joke? Beh, diciamo che è ciò che ha sempre creduto quel povero disgraziato dal pessimo senso dell’umorismo. Con un figlio naturale in circolazione, come finirebbe? Johns e Fabok ce ne danno un assaggio in un delirio domestico del Joker:
E che dire di Jason Fabok? È l’unico nome che vorrei per questa storia, dico davvero: con i suoi volti perennemente seri e cupi, l’orrore del suo realismo tetro, la statuaria presenza di Batman, così muscolare e indifeso (perché non è un racconto di mazzate) è tutto ciò che serve per questa storia, fatta di tensione continua e preoccupazione, non solo dei protagonisti (Bruce, Barbara e Jason) ma anche la nostra. È tutto malsano, in modo imperterrito. Non ci sta nessuno che allievi la tensione per tutta la durata della storia. Un magone, ecco cos’è questa storia. Menti infragilite negli anni da uno o più Joker, in un gioco senza fine. Che siano uno, due, tre o più, magari sorti temporaneamente in qualche storia (possibilità concreta) poco importa. Il Joker è solo uno, anche se può essere reiterato. Così come esistono tanti triangoli ma una sola e comune idea di triangolo. Aldilà dei dettagli, dei modi o delle misteriose origini, il Joker ha per essenza l’ossessione per Batman.
Ami l’idea dentro di te…ma è sbagliata!
Il nostro Comico ha orchestrato tutto, lasciando credere al Criminale di essere la mente dietro a tutto, e lo ha fatto per curare Batman dal suo male. Quale male, dite voi?
Perdonare, finalmente, Joe Chill. Solo dopo averlo perdonato, Joker può diventare il suo nuovo e unico pensiero fisso. Brillante e folle. Quanto mi basta per dire: ok sei tu il vero Joker!
Geoff Johns le sa costruire le storie e questo strano mistero di Joker ce lo portiamo dietro dalla fine dei new 52. Una storia quasi impossibile, col rischio dietro l’angolo di normalizzare il personaggio o la situazione. Ebbene Johns fa entrambe le cose senza farlo. Ci dice “sisi ok il Joker ora è uno solo e alla fine aveva davvero un nome e cognome e Bruce lo sapeva da sempre” e però non è questo a contare nella storia. Viene preservato il simbolismo e l’ignoto del Joker, rendendo irrilevante la sua specifica origine (difatti in giro ce ne erano tre e nessuno se ne era mai accorto) e la situazione, seppur normalizzata, è tutto tranne che normale.
Tre Joker è una storia bizzarra, con alcuni momenti introspettivi piacevolissimi. Ci sta sia una cresciuta che una involuzione psicologica, e non parlo solo di Bruce ma anche di Joker, Barbara e Jason. È una storia su un amore ossessivo, un amore provato da un individuo che ha conosciuto la vita di coppia e che, anche ora, se la ricorda.
Ci è dunque più vicino questo Joker? E no! Perché nelle sue visioni di vita familiare è tutto, consapevolmente, sbagliato. O sei sano di mente e immagini situazioni familiari idilliache o, almeno, sane o sei completamente fuori e nemmeno te la immagini una vita coniugale. Cosa spinge Joker a immaginarsi infelice, ma fingendo il contrario, mentre tutto è decadente? Perché si punisce a tal punto? Perché non sa essere felice e neanche riesce a immaginarsi tale? Ama Batman come idea e trova irrilevante il fatto che sia, in realtà, Bruce Wayne. Non ama le persone, ama le idee; ma delle idee distorte e tutt’altro che le idealizzazioni che tutti noi, spesso, facciamo del nostro prossimo.
E così arriviamo a capire come il suo amore per un’idea (Batman) coincida con la voglia di distruggerlo in modi sempre più perfetti. È forse questo l’amore che Bataille provava per il suo gatto, quando lo guardava con una tenerezza tale da volergli mangiare gli occhi? È solamente un discorso possessivo che si risolve inglobando chi si ama? O è un amore, al contrario, repulsivo? È entrambe le cose: solo nel continuo rimbalzare di attrazione e repulsione che questo gioco può durare all’infinito. Ed è solo questo che Joker davvero vuole: giocare. Se Batman morisse, o subisse un crollo psicologico irreversibile, anche per sua mano e nei peggiori modi concepibili, Joker ne sarebbe distrutto. E se Batman è la sua crociata e non può far altro che andare avanti nella lotta, vien da sé che questa giostra sia infinita, per buona pace della signora continuity.
Tirando le sommosse
Questa è una storia che, nonostante la continuity, sa dire la sua e può mettere – per il momento – qualche punto. Pur nella sua prevedibilità, lascia un piacevole amaro in bocca, salino e aspro come un buon torbato dell’Islay. Conoscere il nome, conoscere anche il contesto, è drammaticamente insufficiente per descrivere il Joker. Per Batman resta un mistero – forse – insondabile. Possiamo dir ciò anche se conosce l’aspetto del figlio biologico, di sua moglie, conosce gli antefatti, i moventi, tutto quello che basterebbe a qualsivoglia detective. Tutto questo descrive chiunque fosse Joker prima di essere Joker. Ma non è questo il vero cruccio di Batman, ciò che ragionevolmente avrebbe voluto chiedere a Mobius se non fosse rimasto shockato dalla risposta ricevuta. Chi è quell’individuo è un’informazione che già maneggia da anni ed è, da sempre, completamente inutile. La risposta alla domanda “chi è davvero Joker?” non è materia da detective e forse nemmeno da divinità.
Joker deve strutturalmente restare un mistero, che poi sia un fatto metafisico (un essere logicamente privo di origine) o circostanziale (i fatti ci sono ma non saranno mai noti) è lasciato ai singoli autori, i quali condividono la fondamentale idea che se Joker avesse una backstory pulita, evidente, esplicativa, lineare e senza distorsioni di sorta, non sarebbe più Joker. Un triangolo con quattro angoli ha un angolo di troppo, è un’altra cosa: è una merda (scusate quadrilateri).
Ma è vero che in Flashpoint beyond viene rivelato il nome di Joker?
Lo vedremo, ma è davvero rilevante?
Laureato in filosofia, maestro d’ascia e immenso mentitore. Passa le sue giornate ad acquistare fumetti che forse un giorno leggerà e mai recensirà.
Fra le altre cose è degno di sollevare mjolnir, ha un anello delle lanterne verdi nel cassetto ed è il cugino di Hegel.