All’anagrafe Jonathan Hickman, un cinquantenne della Carolina del sud che a tratti ricorda un impigrito Tony Stark e in qualche altra circostanza il nostrano Pino Insegno, è un nome importante per una certa generazione di lettori. Una generazione che, a sua volta, dipende da un’altra generazione in particolare, i nati dall’argento: coloro che, nati fra gli anni ’60 e l’inizio dei ’70, sono stati concepiti negli ultimi scoppiettanti fuochi della Silver Age. Oltre al buon Johnny, possiamo rapidamente ricordare qualche altro sceneggiatore d’argento come Neil Gaiman, Grant Morrison, Warren Ellis, Mark Millar, Jason Aaron, Brian Michael Bendis e Rick Remender. Eredi di un nuovo modo di porsi dilemmi, ereditano – la maggior parte di loro – anche le redini dell’universo Marvel per più di qualche anno, e questo è il caso dello straordinario Mr. Hickman. Morrison ci è noto per la geniale follia, Aaron per l’intramontabile tamarraggine, Bendis per le dimensioni teen e urbane, Gaiman per la sua infinita eleganza, altri nomi come quelli di Ellis e Millar edificano, invece, il nucleo pulsante di quella “Seconda fase” del supereroe di cui più volte abbiamo parlato. Ma per quanto riguarda Jonathan Hickman, invece? Tutto questo e tanto altro.

L’alba di una nuova era (la Hik-era) ha delle coordinate temporali relativamente tarde. Solo nel 2009, Hickman debutta per la Marvel. Nello stesso anno escono Secret Warrios (con la collaborazione speciale di Bendis), qualche numero Dark Reign e il numero 570 dei Fantastici 4, la nostra di coordinata. Con questo numero, Hickman comincia la propria gestione dedicata alla primissima famiglia Marvel, seminando un po’ per volta i semi (Secret) della discordia (Wars).  La sua gestione si estende fino al numero 611 del 2012, proponendo – in parallelo – una preziosa miniserie da 23 numeri chiamata, semplicemente, FF. I disegni con cui, forse per la prima volta, leggeremo Hickman sono dell’apprezzabilissimo Dale Eaglesham che, ahimè, non dà immagine a tutta la gestione, la quale purtroppo conosce fin troppi nomi diversi e qualità grafica altalenante. È di per sé molto faticoso strappare l’attenzione dalla penna del buon Johnny, con la sua immaginazione esuberante e incontenibile che condivide con il più vecchio, ma sempre argenteo, Grant Morrison. Questi problemi gravitazionali, dove tutta l’attenzione grava sulla sceneggiatura, sono gli stessi di Nu world (no, forse no). Questa sensazione accentrante si palesa già dal primo arco narrativo, fra i più famosi dell’autore (e chi ben comincia): Risolvere ogni cosa.

La Prima Parte

No, non ho sbagliato.

Un arco narrativo di presentazione e che, solo apparentemente, si chiude in se stesso. Una regola d’oro quando leggiamo Hickman ci impedisce di cadere in facili errori: tutto è connesso, ogni cosa è opportunamente seminata per poter esser impiegata saggiamente al momento opportuno. Hickman è un agricolture olistico, fra i migliori nel suo genere. L’idea stessa di dedicare un ciclo di articoli al lavoro tentacolare di Hickman per la Marvel è frutto di questo insegnamento. Come non mai, l’avvertimento – interno a questo primo arco – di dar sempre il giusto peso e la giusta attenzione a Victor von Doom risulta profetico per tutto ciò che si dipanerà con Secret Wars.

Un Reed che è un po’ Doom? Leggi più avanti.

La premessa di questa storia è molto semplice: se Reed Richards è riconosciuto a livello cosmico come l’essere mortale più intelligente, come mai tutto è andato così storto con gli Illuminati, Civil far, World War Huk e Secret Invasion? Si può evitare tutto questo? Si può risolvere ogni problema? Si può dare adito alle parole di quel pazzo di Richards? La risposta è sì, o quantomeno lo è per Reed e se sarà possibile lo sarà, ovviamente, con un’invenzione. Una macchina che permetta di gettare uno sguardo in tutti gli altri mondi per vedere se è stato possibile gestire diversamente determinate questioni ripropostosi nel multiverso. Anche in questo caso la risposta è affermativa e la costante risolutiva è imbarazzante, perché non fa che ripetere la premessa: Reed Richards.

Solo nei mondi in cui tutta la responsabilità sociale-politica-cosmica è ricaduta su di un’unica mente, la sua – e non di tutti gli illuminati, con un accento speciale su Tony Stark – le cose sono andate bene. Talmente bene che qualche altro Reed, che ha creato nel proprio universo la stessa macchina, ha deciso che se Reed Richards è così forte (e da qui la matematica per grandi) allora + Reed = risoluzione totale. Reed conosce la cittadella dei Rick (scusate, dei Reed volevo dire), un ambiente ideale per la risoluzione di ogni questione: dalle guerre alla povertà, dalla produzione alimentare a basso costo agli interventi chirurgici sui sistemi solari malati. Un’invasione di Celestiali (risolta alla Rick Sanchez), presenza d’obbligo quando dei mortali sembrano occuparne il ruolo, pone un momento di arresto; ma sarebbe ingeneroso, nei confronti di Hickman, vedere in una battaglia laser con armi strambe la vera conclusione di questo arco narrativo. La conclusione è, invece, legata al costo di questa risoluzione completa: per risolvere tutto bisogna sacrificare tutto. Chiedere a un padre di lasciar il miglior amico di sempre, l’amata moglie, i figli…e Johnny non è facile. Soprattutto se il proprio amato – e assente – padre gli ha insegnato quali siano i valori della vita, ma solo insegnati e mai vissuti. Reed è spinto dal suo stesso genitore, a far meglio di lui. Questo implica esser un padre, un amico, un marito migliore. E così la porta multiversale si chiude, fra varianti cosmiche uccise, qualche altra sopravvissuta e in cerca di vendetta e un mucchio di Celestiali morti, tutto torna alla normalità – che normale mai è – dei Fantastici 4.

I numeri che seguono sono dedicati alla semina. Pian piano Hickman inserisce nuovi comprimari, i quali allargano la prima famiglia Marvel, sapendo anche inscenare piacevolissimi momenti di vita quotidiana; spezzando così l’adrenalina e mettendo le briglie alla propria immaginazione furente. I nuovi familiari sono solo alcuni dei semi gettati nella nuda terra. Le nuove e vecchie minacce che si susseguono – la zona negativa, strascichi dell’Alto evoluzionario, Nu World, Wizard, Inumani universali, l’Atlantide di Namor – fanno loro compagnia e giustificano l’urgenza di definire un nuovo collettivo di menti brillanti ma questa volta in simbiosi con i Fantastic Four. Non è un caso se l’acronimo per la Fondazione Futuro resta lo stesso di sempre.

Dovremo attendere qualche numero, e qualche bizzarria, per iniziare a comprendere il disegno di Hickman, ma quando lo capiremo sarà troppo tardi: capiremo qualcosa quando un pilastro degli FF (quali dei due gruppi non ve lo dico) morirà. Gli immancabili tributi funebri, daranno modo a Spider-man di rendersi protagonista di un toccante dialogo col povero Franklin, tutto ciò ancora prima di entrar a far parte degli FF. Perché un’altra piacevole aggiunta (ma non innovativa) è quella che vede Spider-man, in un costume a mio giudizio nella top five degli spider-costumi, in F-formazione.

È lo stesso strascico di Risolvere ogni cosa che porta Reed alla definizione di Fondazione Futuro. La volontà immutata di risolvere ogni cosa incontra l’imperativo morale di esser un padre, un marito e un amico. Ed ecco che a risolvere ogni cosa ci sarà una nuova e brillante famiglia. Ne fanno parte, oltre Peter, i prodigiosi figli di Reed e Sue, Valeria e Franklin. Il giovane clone di Wizard (Bentley Wittman), che si fa chiamare Trentadue e che viene raccattato poco dopo il primo arco, i mutanti Artie e Pulce (nonché miglior amico di Franklin), il giovanissimo Alex Power dei Power Pack, Il cyborg Dragon Man (opportunamente potenziato da Valeria), un paio di brillanti atlantidei e due giovani talpoidi mooolto evoluti, dopo un disastro decisamente spassoso con l’alto evoluzionario.

Le minacce solamente citate, e che fanno seguito a Risolvere ogni cosa, non servono solo come pretesto per introdurre, man mano, nuovi comprimari ma anche per mostrare i primissimi legami: dietro alle nuove problematiche per il povero Reed – a cui si aggiungono un padre ritrovato, nonché folle viaggiatore temporale, e un figlio rischiosamente potente – ci sta, ironicamente, Reed (o quantomeno le sue varianti cosmiche impazzite e ora immischiate in Terra-616): unico centro gravitazionale narrativo di queste storie, così come lo è Hickman sul piano metanarrativo. Il motore risolutivo per eccellenza, fonte di ogni risposta, è anche unica e vera causa di tutti i problemi: una profezia che si auto avvera che stronca l’idea iniziale che solo Reed si salverebbe fra i disastrosi illuminati (Tony Stark ride). Arrischiandoci anche noi nella matematica per grandi, possiamo chiederci: se ci vuole Reed per risolvere ogni cosa, cosa fare quando è Reed stesso la fonte di ogni problema? Risposta semplicissima per Valeria Richards: Victor von Doom. Il “bug” che il consiglio dei Reed ha sempre tenuto d’occhio – a ragion veduta – è parte della risoluzione. Una risoluzione inaudita per un problema quasi irrisolvibile, ma magia e scienza insieme possono questo e altro, no? Con tanto di invito, prende vita un villain-simposio accademico con Destino come relatore principale. Secondo vie universitarie, prendiamo parte ad un curioso dibattito fra le menti più brillanti e distorte del mondo Marvel, il tutto per fermare Reed Richards. E quando si vuol fermare la mente più brillante dell’universo, che in questa circostanza conosce più di un individuo, immischiata in una vicenda mai chiusa con i Celestiali e il loro desiderio di sfruttare il ponte multiversale mai distrutto, ci si aspetta la presenza di un altro ospite d’eccezione: L’Osservatore.

La seconda parte

Con “seconda parte” intendiamo il contenuto del secondo omnibus, una divisione in sé arbitraria, pur tuttavia, interessante. I tanti fili appesi trovano una risoluzione (ma non totalizzante) in questa seconda parte: FF 6-23, Fantastic Four 600-611 e 605.1.

In questo secondo momento della gestione tutto è connesso e si tenta lo scioglimento dei primi nodi gordiani. Come si diceva, in virtù di quel gesto originario di infinita generosità – risolvere ogni problema – il nostro Reed ha generato una crisi di proporzioni cosmiche. Si aggiunga, fra queste conseguenze, la rinascita di Supremor: la suprema mente dei Kree. Rinato partendo proprio dal sacrificio di due Reed paralleli (l’unica mente abbastanza grande da sviluppar il risveglio di Supremor) e dal seme della mente Kree, contenuto nel martello di Ronan. Dove stanno i Kree, poi, ci stanno gli Inumani e dove ci stanno gli Inumani ci stanno gli Inumani cosmici. Sempre per colpa dei Reed paralleli, Annihilus, signore della zona negativa, è vicinissimo ad accrescere il proprio impero aldilà della zona negativa stessa; la città dell’Alto evoluzionario è sotto attacco da parte di Attilan; Doom, l’arma segreta, è in mano all’ennesimo Reed. Una guerra su più fronti, generatosi dalla primissima tessera del domino.

In un contesto senza speranza vi è, però, un prodigioso deus ex machina con un ritorno dalla morte. Un ciclo infinito di morti, vissuto nella zona negativa e illustrato – magistralmente – dal nostro Carmine Di Giandomenico. L’eroe scomparso durante la prima fase della Hick-gestione, non solo ritorna in vita ma lo fa mettendosi a capo della zona negativa e spodestando il precedente signore. Con le orde Annihilus al proprio servizio, ci sarà un fugace momento di respiro all’enorme e complesso affresco cosmico che sta prendendo forma. Una guerra fra Kree, Inumani, orde Annihilus e gli eroi più potenti della Terra riuniti riempiono l’orizzonte Marvel, e in un altro cielo, un folle confronto fra Franklin Richards, suo nonno paterno proveniente dal futuro, Galactus, Destino e i Celestiali.

Difficile preoccupare Galactus, stupire Supremor, sbigottire Freccia nera e innervosire i Fantastici 4 in una sola occasione maaaa ecco i Celestiali, riunitesi per distruggere quell’universo (il 616) che contiene gli ultimi membri della cittadella dei Rick (Reed). È forse questa l’ultima e più catastrofica conseguenza dell’operato dei Richards? Galactus vs Celestiali?

Uno scontro senza speranze, quantomeno prima che il Deus ex machina (un altro) per eccellenza degli F4 – Franklin – faccia la propria mossa, trasformando Galactus nel proprio araldo e rendendolo, così, un concentrato di pura potenza. Però attenzione, non sarà il nostro Franklin a fare tutto ciò, il bambino in fissa con Spider-man e i cowboy, no, niente a fatto. In vena di versioni parallele dei Richards, sarà un altro Franklin a risolvere tutto: un Franklin adulto, barbuto, viaggiatore temporale insieme a suo nonno e a sua sorella e conscio delle sue reali potenzialità.

Franklin col suo araldo d’eccezione pone termine a uno degli scontri più clamorosi mai visti. Una conclusione importante è quella di Hickman, dando voce a chi, provenendo dal futuro (Franklin), ha reso possibile un futuro: finché c’è vita c’è speranza e se c’è speranza c’è un domani, e se vi è un domani vi è l’eternità. Il tutto avviene mentre Franklin appare in vesti quasi messianiche, disceso e glorificato fra i mortali, portato come una reliquia dal proprio araldo, a sua volta creatore di araldi e divoratore di mondi – mica ‘no scherzo. La portata pensata da Hickman è proprio questa: un incontro di alte autorità cosmiche, ipostasi concettuali straordinarie, divinità nuove e, dall’altro versante, un manipolo di mortali, capitanato da quell’uomo che, più di altri, può porgere la propria mano (la sua mente) verso gli Dei. La dimensione è quindi definitiva, finale. Su ampia scala, niente è casuale e senza conseguenze, difatti i semi ventosi coltivati dal più grande fra gli uomini hanno generato frutti tempestosi…e non finisce qui, dico bene Victor?

Terminato, per ora, lo scontro fra Inumani, Kree, Celestiali, e chi più ne ha più ne metta, parte il sesto arco narrativo di questa fase: Fondazione. Ci lasciamo alle spalle lo scontro e ci si apre verso le conseguenze. Cominciando dai patti stabiliti fra Supremor e Inumani, con la figura di Freccia nera sempre più predominante e audace.

Dall’altro lato, vedremo dei momenti più distensivi ed emotivi che coinvolgono i Fantastici 4. Hickman è un autore di spirito, capace di creare momenti comici e toccanti, spesso nello stesso momento. Mentre proverà a rispondere all’eterna domanda che ci poniamo tutti: “Galactus può diventare una nave spaziale?” assisteremo alle simpatiche interazioni fra coinquilini di Peter Parker (ancora parte della Fondazione futuro) e Johnny Storm.

Avremo a che fare, di parallelo, con un bizzarro quanto toccante amore fra Bentley (il clone di Wizard) e Valeria. Ci riempiranno di stupore i viaggi cosmici e fantasiosi di Franklin con la sua controparte adulta e Pulce. Tutti e e tre immersi all’interno dell’universo – di infinite possibilità – che lui stesso ha generato e che funziona secondo la propria indole. Poco più avanti saranno importanti le parole del Franklin dal futuro rivolte a quello del presente: l’immaginazione batte la conoscenza. Creare è meglio di comprendere. Un chiaro messaggio rivolto a sua sorella. Franklin ha sempre mostrato un senso di inferiorità nei confronti di una sorella ancor più geniale del padre, tuttavia una volta fioriti i propri poteri egli si mostrerà come uno degli esseri più potenti e stupefacenti di tutto l’universo Marvel. Strappalacrime è, poi, il viaggio nel futuro che Reed farà con il ritrovato padre. Qui assisterà alla lunghissima vita dell’amico Ben Grimm, deceduto dopo 4mila anni dal presente. Perché, vi state chiedendo? Beh, come conseguenza di un peculiare siero sviluppato da Valeria e la Fondazione futuro, un siero che permette a Ben di tornare alle proprie sembianze umane una settimana all’anno. Tuttavia, come noterà Reed, l’effetto collaterale di questo serio implica un invecchiamento anomalo: è solo in quella settimana da umano che Ben invecchia. Questo sarà un simpatico pretesto per scorgere, rapidamente, le bizzarre avventure secolari di Ben Grimm col suo nipotino-divinità. Però assistere alla sua lontanissima morte romperà qualcosa in Reed e solo così comprenderà quanto importante sia prendersi un momento, abbandonare per un attimo progetti e responsabilità per una birra col suo amico davanti ad un match di boxe. “mi sei mancato anche tu ” dirà Ben a Reed, senza aggiungere altro.

Un’amicizia che non necessita di parole, ma che troppe volte è stata sacrificata per il bene altrui, similmente come accaduto con Susan nel corso del primo arco narrativo; sempre lì ritorniamo. Hickman ci vuole suggerire come siano questi momenti, apparentemente irrilevanti sul piano multiversale, a definire questo Reed e il futuro meno fosco che solo questa sua versione può garantire. A proposito di bene altrui, un altro momento toccante, riguarderà una missione speciale all’interno del corpo di Lumpkin, il famoso postino dei fantastici 4, purtroppo affetto da un pericoloso tumore.

Dove la medicina convenzionale non può niente, i Fantastici 4 possono rimpicciolirsi per uccidere i mali del corpo. Una storia breve ma che sintetizza perfettamente i valori essenziali dei fantastici 4: fantascienza stramba, esplorazione, amor familiare e comicità.

Di tutt’altro tenore è lo spazio che l’autore dedica a Destino. Questi, nel corso del suo coinvolgimento in Fondazione Futuro e per via del proprio debole nei confronti della sua protetta Valeria, sarà spinto verso sfide impossibili: non solo contro l’eterno rivale Reed e ora in molteplici vesti, ma anche contro i Celestiali. Un anomalo gesto di altruismo, per fronteggiare antiche e cosmiche divinità, spinge Victor nel multiverso. Qui incontrerà, in una di quelle Reed-realtà devastate dai Celestiali, una realtà svuotata su cui edificare e un Guanto dell’infinito, ‘na cosetta. Il karma è particolarmente elargivo con Doom: un solo momento di altruismo e il multiverso lo premia con una realtà da plasmare a proprio piacimento e gli strumenti per poterlo fare. Esaltato da un mondo vergine, nelle matasse di mondi paralleli lasciati dai Reed, può finalmente costruire, ergersi a Dio; ammantato da candide vesti e pietre preziose.

Il ritmo della narrazione fa il verso alla Genesi, e come la Genesi ha il proprio culmine nella realizzazione di esseri a propria immagine e somiglianza, così Victor creerà degli individui simili a lui. Ironicamente, però, fare le cose a propria immagine e somiglianza – quando sei Destino – è proprio la peggior cosa che puoi fare, il tuo massimo errore. I figli della magia e della scienza, i due aspetti fondanti del personaggio, lo porteranno verso la morte. Salvato, ancora una volta, dall’adorata Valeria (ma del futuro).

Le interazioni fra i due sono sempre preziosissime, ricolme di un affetto spontaneo ma impacciato. Ricordiamo che, nel passato editoriale, è stato proprio Doom a scegliere il nome “Valeria” per la giovane figlia del suo rivale, dopo aver impiegato le proprie risorse scientifiche e magiche per permettere il buon esito di un parto reso arduo dai raggi cosmici che hanno reso i Fantastici 4…beh i Fantastici 4. Egli è, dunque, a tutti gli effetti, il padrino di Valeria. Il passato editoriale è, in verità, piuttosto ingarbugliato quando si tratta di Victor e Valeria: Chris Claremont all’inizio aveva posto Valeria addirittura come sua figlia, il tutto mutato poi dal successivo autore degli F4: Jeph Loeb. In altre circostanze (Official Handbook of the Marvel Universe), sappiamo che Valeria è stata invece solamente cresciuta da Doom, in una realtà alternativa; ma un ennesimo colpo di spugna – sempre da parte di Loeb – ci ha catapultati nella condizione che conosciamo oggi: tramite una ricostruzione della realtà, seguita allo scontro con Abraxas, Valeria ritorna in uno stato embrionale nel ventre di Susan. Insomma, la costante è sempre la stessa: Victor è sempre e comunque, in qualche modalità, “suo padre”, non ha mai smesso di trattarla in questo modo.

A proposito di Doom, Hickman – in questo fantomatico sesto arco narrativo – ci narrerà le vicende di quel Reed parallelo che dichiarava di avere un po’ del Dottor Destino dentro di lui. Una biografia d’eccezione, in un mondo nazista che vedrà Reed dissezionare parte del cervello del geniale Victor, per aggiungerlo al suo. L’unità di intelligenze delle due fra le più grandi menti mai nate, genererà un essere brillante che scalerà ogni vetta fino a porsi come Dio del suo universo, in possesso – ovviamente – del Guanto dell’infinito. Non ancora soddisfatto – probabilmente per la porzione di Victor dentro di sé – aprirà il ponte per la cittadella e come lui, nello stesso istante, lo faranno altri due Reed, ponendosi come i fondatori di quello scenario che ormai conosciamo piuttosto bene. La volontà di Hickman è molto chiara: dare molto spazio a Victor e, nel farlo, renderlo anche multiprospettico. Nella sua run non pensiamo mai a Doom come ad un villain, nel senso più canonico del termine. Semmai è un rivale, un rivale ideale, oscuro di Reed. Con il padre di quest’ultimo, come si è detto, viaggeremo nel tempo e non solamente nel futuro: si farà capolino nel passato, quando Victor era solo un superbo e saccente studente universitario e già allora rivale di Reed, un promettente e sommesso compagno di studi. Victor viene fortemente umanizzato da Hickman e la sua personalità esuberante non può che affascinare e divertire; le sue vicende sono assurde, forse ancor più di quelle che riguardo Reed, poiché oltre ad essere anche lui un uomo di scienza, è un uomo di magia, un capo di Stato e una mente oscura dell’universo Marvel. Latveria e il suo attuale reggente, nonché figlio adottivo – e fedelissimo a livello morboso – di Doom, Kristoff Vernard, ci pongono in un contesto stimolante, ma che non può bastare a Victor: lui vuole tutto. Nella sua nuova cappa bianca, ce ne preparerà di tante; dimostrando come Hickman sia innamorato del soggetto, quanto basta da non abbandonarlo – ed esaltarlo – fino a Secret Wars.

Mentre leggeremo tutto questo, si affacceranno strane conseguenze riguardanti una storia dagli esiti decisamente appesi: Reed si reca a Wakanda. Pantera nera chiede l’aiuto del solo uomo che possa star al passo con una questione disumana: la morte e, nello specifico, il contatto con la Dea Pantera. T’Challa, in questa storia, diventa la pantera dei defunti, nella necropoli nascosta, nonché Wakanda personale per i Re trapassati. Destini intrecciati quelli fra T’Challa e Reed tramite un patto di fratellanza istituito dinnanzi alla Dea. Non tutto risulterà chiaro…tessere del domino.

Perché Leggerlo?

Se Hickman è un agricoltore olistico, i Fantastici 4 sono il terreno ideale. Difficile trovare una testata Marvel che dia più chance ad un autore, di tal guisa, di sbizzarrirsi. Spesso leggendo questa gestione si ha la sensazione di aver di fronte un bambino all’interno della Fabbrica di cioccolato. È papabile il divertimento innanzitutto di Hickman stesso, ma questo divertimento, questo giocare non è disordinato: al contrario, vi è una visione lucida di come le cose debbano evolversi. L’esplorazione è da sempre l’essenza stessa dei Fantastici 4, è l’elemento che li ha posti materialmente come eroi e che, in virtù delle mutazioni subite, è continuata su percorsi inediti; il tutto in uno stupendo circolo virtuoso. Se poi, al timone di un viaggio mentale di tale portata, vi è Jonathan Hickman, il divertimento è assicurato. Tuttavia, questo non è il solo motivo per cui i Fantastici 4 hanno così tanti aficionados: sono una famiglia e, come accade per gli X-men, ci si aspetta di leggere anche tutto ciò che precede e segue l’avventura: lo spazio domestico. E in questa run, grazie alle simpatiche aggiunte e le nuove dinamiche instauratosi, è un elemento di pari importanza a quello dell’esplorazione.

Vi innamorerete di questa gestione? Io credo di sì. Sentirete la necessità di averne dell’altro, ma come ogni progetto ben riuscito, termina ancor prima di andare a male TUTTAVIA se tutto è connesso, parlare di inizio e fine perde il proprio senso, così come non avrebbe senso chiedersi dove inizia e finisce una sfera. La necessità di un seguito si farà sempre più assordante, e questo perché – va chiaramente ribadito – la lettura dei soli Fantastici 4 vi lascerà un enorme senso di insoddisfazione. Le infinite tessere del domino non hanno ancora conosciuto la propria caduta. Le tante figurazioni sono solo state progettate e le prime conseguenze dovranno ancor esser strumentalizzate all’interno del portentoso affresco di Hickman. E se le cose stanno così, con quale spirito rinnovato leggeremo la run degli Avengers?

La quale richiederà, ahimè, un approccio decisamente più analitico e pedante da parte mia e per il quale mi scuso anticipatamente.

Alla prossima! 

8.3

Sceneggiatura

9.5/10

Disegni

7.0/10

Pros

  • Jonathan Hickman è fra le menti più brillanti del fumetto. Non solo per la sua creatività inesauribile e l'intelligenza dietro alle soluzioni narrative più incredibili ma anche per il suo umorismo e la sua sensibliità. E quando scrivi i fantastici 4 ti servono quattro cose: fantascienza stramba, esplorazione, amor familiare e comicità. Ci stanno tutte.

Cons

  • Comparto grafico altalenante, tanti autori, tanti nomi e non sempre di alto spessore.

Zeno

Laureato in filosofia, maestro d'ascia e immenso mentitore. Passa le sue giornate ad acquistare fumetti che forse un giorno leggerà e mai recensirà. Fra le altre cose è degno di sollevare mjolnir, ha un anello delle lanterne verdi nel cassetto ed è il cugino di Hegel.