Qualche tempo fa ho portato alla vostra attenzione un discorso lungo e confuso sul cinema, sui cinecomic e sul rapporto tra il cinema e le sue fonti. Era un discorso ampiamente soggettivo ma che ho motivo di credere possa essere stato condiviso da molti e in ogni caso ho fatto del mio meglio per argomentare quel che sostenevo.
L’argomento di oggi credo sia più agile, anche perché non cercherò di soffermarmi troppo sulle ragioni dietro le specifiche scelte limitandomi a parlare di un fenomeno in maniera superficiale.
Voglio concentrarmi sull’influenza dell’adattamento sull’opera adattata: del film sul fumetto, in questo caso.
Forse le prime tracce evidenti del fenomeno sono da vedere nel giorno in cui Superman ebbe su carta il volto di Christopher Reeve, che di Superman non aveva il fisico, non aveva la presenza o la graniticità nel volto, non era né il Superman dall’aspetto da circense dei primi giorni, né quello ipermuscolare verso cui ci si avviava negli anni in cui viene messo in cantiere il film. La vicenda è particolarmente complessa e non necessariamente interessante in tutte le sue sfumature.
La sintesi approssimativa è che Reeve non era il candidato favorito per il ruolo, era l’unico candidato. Le provarono tutte, moltissimi attori rifiutarono, altri furono rifiutati per le ragioni più disparate. Reeve, che era già stato proposto per le sue capacità attoriali ed escluso per la presenza fisica, fu quindi sia la prima scelta che l’ultimo ripiego. Del resto, fare un casting per Superman non ha lo stesso peso di fare un casting per Nicholas Fury o Anthony Edward Stark.
Quando si parla di produzione cinematografica è sempre difficile fare un discorso sulle intenzioni o sulle scelte precise che sono state prese, come spesso ci si ritrova a fare parlando di letteratura, perché se è vero che si può inquadrare in maniera assai precisa nella biografia o nel contesto storico di un autore la chiave per interpretare il suo operato, il cinema è invece un medium di compromesso. Le maestranze coinvolte nella produzione di un film – ma anche di un fumetto in un contesto come quello supereroistico – sono molteplici e nemmeno tutte sempre note.
La produzione, nell’immaginario collettivo, è ridotta all’aneddotica intorno alla produzione; ma con gli aneddoti si fa conversazione, non si fanno analisi.
Questa è la ragione principale (oltre alla mancanza di spazio) per cui questa metà del discorso è stata tagliata via da Passaggio a Pellicola.
In questo momento, invece, non mi preoccupa fare aneddotica. Parlerò quindi solo di due casi particolarmente interessanti dal mio personale punto di vista: Harley Quinn, Iron Man.
E, credo, basta.
Il personaggio di Harley Quinn ha una storia peculiare: nasce, infatti, da Batman TAS, la serie animata. Sui perché e i per come si potrebbe ritornare in futuro, perché Paul Dini è un uomo interessante e perché sapere come sia nata la spalla psicopatica di un villain psicopatico che non sembrava aver bisogno sotto nessun punto di vista di una spalla – e che spalla, con tutte le problematiche e i temi che si porta dietro – è una storia interessante. Certo è che si vede, almeno per la prima Harley, che viene da altrove, per via di come certe cose sono state trattate e di certi ritrovati della migliore tradizione WB, da Bugs Bunny a Wile E. Coyote (non che le pistole con le bandierine mancassero in qualche opera su Joker di tutt’altro respiro, dipende da come le usi, ecco…), compresi i martelloni di legno fuori scala.
Anche se, in realtà, TAS non era proprio un cartone animato per bambini, se ci ripenso, era più una cosa che voleva passare per un cartone animato per bambini.
Se vi soffermate un attimo, la storia di una psicologa e del suo transfer non è esattamente leggera. E anche se ovviamente passa in sordina, perché è la DC e mi stupirei del contrario, qualcosa ce l’hanno raccontato lo stesso.
Harley Quinn è un personaggio in qualche misura infantile, ha bisogno di qualcuno cui fare riferimento del tutto o in parte, fa parte del suo dramma, di ciò che la rende interessante (e malata); ma ha fatto tantissimi passi nella giusta direzione, verso la crescita e l’indipendenza.
Il percorso che compie è una sorta di adolescenza ribelle, in cui scappa di casa, inizia a frequentare una ragazzaccia e mette in discussione suo padre, quel Joker che l’ha in qualche modo creata (e che è stato pure suo amante).
Non voglio entrare nel merito di quanta roba potevano fare e non hanno fatto con quel povero personaggio, che è una miniera infinita. L’unica cosa che sono riusciti a fare invece è renderla l’idolo delle ragazzine – sul serio, ma che modello sarebbe? -, influenza che spero usino bene nel prossimo Birds of Prey invece di alimentare ancora ‘sti modelli femminili malati da romance young adult.
Non voglio nemmeno stare a dire quanto con il personaggio stiano già facendo – nel dubbio, grazie Tom (anche perché credo che parleremo di Heroes in Crisis a breve).
Allora perché è nella lista, anzi in cima alla lista? Perché il personaggio come lo vedete ora praticamente non esisteva prima di Suicide Squad.
Da Rebirth in avanti (c’è qualche copertina con i capelli come nel film verso la fine di New 52, ma parliamo di quando già erano in giro trailer e locandine da un po’) Harley Quinn è Margot Robbie, dalla faccia ai comportamenti che ha ripresi dalla caratterizzazione cinematografica, passando per i dettagli più inutili tipo le calze a rete.
Ed è una cosa divertentissima da veder succedere.
C’è da dire che il vecchio look non era niente male, e che questo nuovo ha preso piede presumibilmente solo perché la Harley di Robbie è diventata l’idolo delle ragazzine – e il…
Ok, ok, niente commenti espliciti.
Oddio forse anche perché era più adatto alle fanfiction perverse di Stepjan Sejic – che vi suggerisco di andare a cercare sul suo dA per il modo in cui ha descritto il rapporto con Ivy, sperando che becchiate il profilo giusto perché uno dei due è pieno di roba BDSM. Ma che dico: saranno entrambi pieni di roba BDSM.
(EDIT: La DC deve aver frugato nelle mie bozze – ebbene sì, questo articolo esiste da prima di giugno -, perché le fanfiction di Sejic, circa, sono diventate canon a partire da settembre, quindi l’altro ieri tipo.)
Iron Man. Il caso di Iron Man è un tantino più complicato, perché se è vero che al cinema soprattutto, ma anche in alcune saghe fumettistiche come quella recente di Brian M. Bendis, il peso di R.D.J. sul comportamento del personaggio è decisivo, è anche vero che il processo di rinnovamento del personaggio – che porta a mettere in discussione la sua etnia, a rendere il suo carattere molto più sarcastico e meno serioso, a modificare la natura dei suoi drammi, a rinnovare il suo aspetto e la sua tecnologia – inizia prima; e il casting nell’MCU è solo l’ultimo tassello di un progetto che puntava già a ottenere un personaggio simile a quello che ora vediamo.
Detto questo, è comunque innegabile che il risultato finale – volto compreso – sia stato largamente deciso dalla performance dell’attore (sul serio andate a vedervi un altro film qualsiasi con lui e contate le differenze) e che il successo della nuova versione debba tantissimo al successo dell’universo cinematografico. Senza MCU, Extremis sarebbe stato un caso decisamente isolato – in buona parte già lo è – nel contesto fumettistico.
Ma di Iron Man ho già parlato abbondantemente in varie sedi, chiunque ha già parlato abbondantemente in varie sedi e sapete già quello che potrei dire. Inoltre, nel momento in cui scrivo Iron Man sta già ridiventando un’altra cosa, del resto nell’MCU la sua parte è conclusa, no?
Per cui: il prossimo!
Dite che non c’è un prossimo?
Parliamone.
Questo era il passaggio in cui il presente diventava un articolo sui Guardiani della Galassia.
L’avevo dato per scontato, data il pressoché totale anonimato del team prima di Gunn e la sua personalissima revisione dei personaggi – il suo film è quanto di più vicino ci sia ad un film d’autore all’interno dell’MCU – mi aveva convinto che la formazione e la caratterizzazione dei personaggi fossero da attribuire a lui, a Gunn stesso e che il team fosse la chiusura finale di questo discorso.
Ma è falso, ho scoperto.
Però, però.
Esiste un aspetto più generale e meno innocente della storia che vi sto raccontando.
Come il continuo farsi e disfarsi di Iron Man o la storia editoriale bislacca di Harley Quinn mettono bene in evidenza (ma insomma basta seguire un personaggio qualsiasi) il mondo dei comic è un mondo di archetipi senza autore.
E senza spina dorsale.
L’autore che osa, che fa quello che ritiene, l’autore veramente autore che non sia solo artigiano raccontastorie è una rarità.
Cosa ha potuto fare James Gunn con un po’ di personalità e visione registica di una banda disperata di disadattati con le tutine colorate? Ha sfiorato il capolavoro – Guardiani della Galassia non lo è, sia chiaro, ma quanto più vicino ci è andato di mille altri?
E qual è il problema? Il problema è che quando un autore che osa incontra un regista raccontastorie, il secondo vince. L’adattamento nasconde gli elementi veramente provocatori e innovativi e fa dell’opera una storiella come diecimila altre, che ne escono trenta all’anno se va bene. Dite di no? Davvero?
Umbrella Academy, The Boys, Deadly Class sono la stessa serie TV.
Preacher (di cui mi manca ancora il finale, magari sbaglio) è un’epopea pop e colorata un po’ splatter e decisamente umoristica che ho adorato, ma che di radicale, di rivoluzionario, non ha più niente.
Watchmen è un film fascista e fa un uso edonistico ed autocompiaciuto della violenza.
James Gunn può essere uno spunto per fare cose belle, anche se poi durano poco, anche se immediatamente dopo aver rimesso insieme il team del film per due mesi sei costretto a rebootare di nuovo perché nessuno sta leggendo i Guardiani della Galassia, forse meglio cambiare formazione. Puoi accoglierla o no ma è una buona influenza.
Epperò il ritorno di fiamma, le revisioni che finiscono dalla pellicola su carta sono una forma di marketing.
Non importa da dove venga un personaggio, una storia, importa che esista in tutte le forme: c’è il libro? facciamoci il film; fumetto? film; film? fumetto; libro? fumetto; videogioco? film e poi fumetto; libro tratto da tutti insieme.
E via con la prossima.
A volte questa macchina funziona, tutto ci sembra così naturale, a volte si inceppa e ci mostra i suoi ingranaggi. È quest’ultima la parte problematica, quella in cui la macchina cinematografica o televisiva diventa una fotocopiatrice.
I Guardiani della Galassia hanno funzionato, no? La colonna sonora retro, le citazioni pop a go-go, i protagonisti disadattati, la comicità esagerata e quel tocco di fantascienza starwarsiana così colorata e ormai così Disney che non può che aiutarti a vendere i Funko Pop! e che rende così sicura la scelta di WB di affidargli pure Suicide Squad. Mentre nel frattempo la nostalgia, le musiche, l’assortimento dei protagonisti cosa vi ricorda? I Goonies? Stranger Things? Metà delle cose che ho citato trenta o quaranta righe fa?
E così risiamo da capo, alla filippica sui remake e i reboot, mentre intanto ci prepariamo al prossimo sequel di Star Wars quello vero, all’ennesima trovata citazionista à la Ready Player One, al ritorno di Ritorno al Futuro (sto scherzando, eh… spero), alla serie su Il Signore degli Anelli e quella su Watchmen, a Netflix che non ha intenzione di smettere con le serie tutte uguali perché vendono, eccome se vendono.
Il tutto nella speranza che la malattia del cinema non contagi le opere da cui deriva, nella consapevolezza che è sempre meno probabile che non accada.
Aspirante studente e pigro dalla nascita, appassionato di storie in ogni forma e di sentenze sensazionalistiche poco argomentate. Per altri dettagli vi rimando all’autobiografia che non scriverò mai dal titolo provvisorio di ‘Indecisi’ – ‘Mainstream’ era già preso.