A qualche giorno dall’uscita italiana, un tranquillo lunedì sera di ottobre, una lunga fila di persone si appresta ad acquistare il biglietto per Joker insieme al sottoscritto, complice un tam tam mediatico iniziato quasi al principio di questo 2019 e proseguito fino al culmine con i divieti di proiezione in alcune sale americane, a causa di un suo messaggio violento che si presume sia comunicato con positività. Ma non è un cinecomic come gli altri? Alla fine i fumetti sono roba per bambini, no? Quasi a volersi inserire all’interno del dibattito scatenato da Martin Scorsese riguardo lo statuto di “parchi a tema” e non vero Cinema dei film Marvel, Joker di Todd Philips si preoccupa più che altro di creare una bella opera cinematografica, e ci riesce.
Screenplay
Sarebbe facile screditare la trama di Joker presentandola come banale e non originale, ma sarebbe anche clamorosamente sbagliato (tranquilli l’hanno fatto). Le premesse sono effettivamente semplici: un uomo malato e depresso ha come obiettivo far ridere le persone travestendosi da clown.
Ma dottore… Pagliacci sono io!
Ma la società è malata e depressa anch’essa e se la prende con i più deboli e indifesi, è naturale per un uomo come Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) sprofondare sempre di più, senza trovare alcun appiglio. Eppure un film non è la sua sinossi e la sceneggiatura non è il riassunto della trama. Per questo motivo la messa in scena e scrittura filmica pongono in essere un film per certi versi geniale narrativamente o quantomeno abile a schivare certi problemi e a scegliere con cura quando, come e dove raccontare certi avvenimenti.
Per i primi quaranta minuti di proiezione assistiamo alla presentazione della “vita” di Arthur Fleck. Il film calca subito la mano con la drammaticità e i toni tragici, e l’interpretazione di Joaquin Phoenix fa arrivare ogni scena in modo potente e preciso. Tuttavia, troppo accanimento verso un singolo personaggio, seppur ben contestualizzato, fa molto spesso subentrare o un pietismo banalizzante o, al contrario, un senso di distacco per il fatto che “succedono tutte a lui”. Allora qui la sceneggiatura trova la prima brillante soluzione: il rapporto con Sophie (Zazie Beets).
Volendo fare uno SPOILER, per far comprendere ciò che intendo: questa parte ha lo scopo di presentarci una versione diversa di Arthur che è appena successiva all’uccisione dei tre in metro. Una forma di liberazione del suo vero Io che gli permette ora di avere successo sia nel lavoro che nella vita sentimentale. Tutto falso, come ci rivela poi, quando le cose precipitano nuovamente, riuscendo però a non tediare lo spettatore con un accanimento esagerato.
Un’altra soluzione brillante è quella, forse scontata, di tornare, dopo i primi lunghi minuti di riflessione sull'”uomo” Arthur Fleck, nell’universo di Batman. Da un lato la si può leggere come l’inefficacia di una narrativa costruita “solo” su un uomo, dall’altra, e credo le cose stiano in questo modo, come la geniale soluzione di coerenza narrativa che riesce nel duplice scopo di fornire un presunto movente familiare alle azioni del Joker e di contestualizzare la sua genesi nell’universo del fumetto DC.
Messa a fuoco
A stupire, in modo assolutamente positivo, è la fotografia di Lawrence Sher, fedelissimo del regista Todd Philips, con il quale ha collaborato per la trilogia di “Una notte da leoni”. Il lavoro svolto con le luci e le sequenze è assolutamente eccezionale: toni luminosi scandiscono il ritmo della visione senza mai risultare davvero brillanti. In un ribaltamento concettuale implicito, la follia multicromatica del Joker non raggiunge mai i toni neonpunk di Suicide Squad, preferendo lasciare spazio al cupo, al profondo, all’introspettivo. Dove molti altri D.O.P. negli ultimi anni scelgono quasi di bruciare (se non di bruciare volontariamente) la loro fotografia per imporre la presenza della luce, qui è tutto ben visibile, tutto a fuoco il giusto, ma sempre con un senso di oppressione generato magnificamente dalle inquadrature e dall’effetto complessivo. Le scene sono esteticamente pensate per comunicare tutti gli stati d’animo di Arthur Fleck, talvolta accelerando con il ritmo, talvolta esasperando la messa in posa e la grandiosità di uno sguardo. Alcune immagini sono dei piccoli quadri, ma la fotografia del cinema non va pensata come statica: troppe volte si è apprezzata per il semplice fatto di trovare “foto” composte per essere un quadro ma poi poca sapienza nelle fasi in movimento. Qui, al contrario, è la sequenza a risultare grandiosa dal punto di vista estetico, non il singolo frame. Sia essa un ritorno a casa in ascensore o una situazione concitata in metro, ogni sequenza è comprensibile e ogni spazio è marcato in modo da non perdere mai i riferimenti. Un’eccellente lavoro.
Tre passi (di danza) avanti: Joaquin Phoenix
Ciò che rende la trama di Joker per nulla banale (oltre alla sua correttezza formale e le idee interessanti) è la maniera nella quale viene veicolata attraverso la performance del suo interprete principale: Joaquin Phoenix. Non sono solo le mutazioni corporee, dimagrimento e trucco, a rendere il personaggio così credibile ed efficace, ma anche e soprattutto la capacità recitativa di Phoenix di entrare nel personaggio e rappresentarne tutti gli aspetti a 360 gradi. L’intuizione geniale della risata involontaria – frutto di una malattia e non dipendente da uno stato d’animo – sarebbe potuta risultare esagerata, cringe e non efficace se non fosse stata realizzata dall’attore in maniera perfetta. La mimica facciale riesce a mostrare perfettamente la dualità emotiva del suo Carattere con un’intensità unica. Lo spettatore si lega fin da subito alle sue espressioni e pende -letteralmente- dalle sue labbra.
Uno sforzo fisico e mentale notevole se si pensa alle conseguenze di un dimagrimento così repentino, mantenuto dall’attore per tutto il tempo delle riprese. Un valore di eccellenza che rende il film, rispetto alle “giostre” Marvel e DC, qualcosa di diverso ed eccezionale.
Piccoli passi indietro (ma a tempo di musica)
Ci sono alcune soluzioni che non ho particolarmente apprezzato. Poche, a dire il vero, ma che, proprio per questo, sono risultate sgradevoli. Una fra tutte la scelta di utilizzare una colonna sonora epica in alcune scene del film (soprattutto i rientri a casa) rispetto al generale tono tragico, archi e violini, con il quale è portato avanti tutto il film. Queste scelte rendono la presentazione del personaggio troppo maestosa e in questo caso sì, rischiano di mostrarlo in modo più positivo di quanto si vorrebbe. Inoltre, la gestione della polizia e delle sue azioni, evitando spoiler, è fin troppo banale e in tono con tutto il resto dei cinecomic per risultare al livello di una pellicola d’arte come questo Joker. Infine, l’interpretazione di De Niro, per alcuni esaltante, mi è sembrata scialba, un po’ svogliata. Consapevoli che il talento di De Niro traspare anche con scarso impegno, mi sembra un’impressione che vada segnalata e che, a mio modo di vedere, trova un riscontro con le scene, efficaci ma assolutamente parziali nel mostrare un Phoenix notevolmente più prestante, anche al netto del suo essere il protagonista del film.
Piccoli difetti o storture, che scalfiscono appena quella che è stata una grandissima opera di cinema e che spero, per concludere, venga riconosciuta come tale anche ai prossimi Academy Awards con una nomination almeno nelle categorie: Miglior Attore Protagonista; Miglior Regia, Miglior Fotografia e forse Miglior Sceneggiatura.
Laureato in Filosofia, ricerca e difende la Verità anche in campo Estetico.