Siamo giunti alla seconda e ultima tappa della nostra analisi sulla bibliografia cosmic-tamarra di Donny Cates. Qui vedremo due miniserie da 5 numeri e una maxi serie da 12, rispettivamente: La Morte degli Inumani (2018), Silver Surfer Nero (2019) e i Guardiani della Galassia (2019). La prima che vedremo è proprio la miniserie sugli inumani, ahimé un primo colpo critico alla tendenza più che stupefacente dei primi lavori dello scrittore texano. Che ne sarà di Thanos? Ora che lo abbiamo conosciuto nelle vesti regali, è davvero tutto finito in una timeline morta? E Silver Surfer? Scopriremo cosa diavolo ha passato? Vediamolo subito.
La Morte degli Inumani
All’alba della civiltà umana, i Kree erano già immischiati in una estenuante guerra intergalattica con gli Skrull. E come è noto, i primi, alla ricerca di nuove leve per il proprio esercito, iniziarono degli esperimenti genetici sugli umani e non solo. Da questi esseri mutati, in un percorso di evoluzionismo selettivo, nacquero gli inumani. Ma che succede se Supremor, la suprema intelligenza dei Kree, ha visto la fine della propria specie in una di queste creature? Il cosiddetto Re della mezzanotte? Chiudiamo i laboratori, blocchiamo gli esperimenti e uccidiamo le cavie infette.
Join or die. Il messaggio dei Kree agli inumani, e giusto per renderlo ancor più preoccupante, perché non scriverlo sui corpi martoriati di poveri inumani liberi? Cioè quelli non affiliati a nessuna delle cinque grandi tribù degli inumani intergalattici. E quando Freccia Nera, Re degli inumani terresti, vorrebbe rispondere con la guerra, ecco che le quattro regine delle tribù spaziali degli inumani diventano vittime simboliche di una guerra già persa. Anche la quinta regina, giusto per non farci mancare niente, Medusa, viene in seguito ferita gravemente.
E Freccia Nera si ritrova senza regno, senza alleati, senza una moglie e con una versione più potente di sé sulle sue tracce: Vox. Un super inumano, creato dai Kree per impersonare il mietitore – con tanto di falce – nel loro personale sterminio di massa. Freccia nera, maestro di conversazione – pur senza mai produrre un suono involontario dati i suoi poteri devastanti – come ci narra Cates, pensa continuamente a Roma. Simbolo di un impero tanto potente quanto morto e sepolto. E freccia Nera si sente come l’ultimo imperatore di un impero straordinario. Seppur cavie cosmiche – rigettate dai loro creatori – hanno una propria identità, dignità e voglia di esistere. Difendono a denti stretti quel poco di impero che è rimasto ad Attilan. La famiglia reale fugge in ogni lato dello spazio, e Medusa – in condizioni critiche – vorrebbe solo sentire “ti amo” dal proprio amato, incapace però di proferir verbo senza porre fine alle sofferenze della propria amata (interessante il parallelismo con quanto accadrà, come vedremo, con Ronan).
Karnak va in avanscoperta presso i Kree, dichiarando le intenzioni del proprio popolo. Qui scopriremo come la fede verso Supremor sia vacillata e con essa, la fiducia in Ronan. Come è noto in Guardian of Galaxy and X-Men: The Black Vortex, i Kree ritrovarono il proprio impero devastato, e la suprema intelligenza deceduta. Questo bastò a suscitare in loro vendetta verso coloro i quali, nella predizione, erano colpevoli di tutto: il Re di mezzanotte (Black bolt) e tutti gli inumani. Rei, fra le altre cose, di aver dissacrato l’impero Kree. Da semplici armi quali erano a distruttori dell’impero stesso.
Ovviamente Black Bolt ha scelto “death” al posto di “join”, e così entra trionfante fra i Kree devastando tutto e, pronunciando i nomi degli inumani morti, fa costanti sentenze di morte. Un vero potere regale quello di Blackagar Boltagon: la sentenza di un Re è già da sola, già immediatamente, il boia. Tutto procede in esplosioni splatter finché, Vox, non gli taglia la gola. COSA?! ebbene sì. Questo però non basta a cancellare la fierezza di un Re, il quale continua a pronunciar imperterrito e senza voce (ora che vuol parlare non può farlo) il nome degli inumani deceduti; e in questo è bravo Cates a caratterizzare in modo coerente una figura immensamente dignitosa come Freccia nera. E Blackagar non smetterà mai di pronunciare questa litania, anche dopo aver subito, da parte dei Kree, un’operaizone chirurgica alla gola, volta a renderlo muto in via definitiva. Tuttavia, questa squela infinita di deceduti, non resta a lungo senza effetti e ben presto il suo potere riemerge.
Non più come una bomba atomica dice Cates, ma come un coltello da prigione. E così vedremo Blackagar agire furtivamente, uccidendo in modalità stealth tutte le guardie. Gironzolando fra i laboratori incontrerà, poi, Ronan; sottoposto allo stesso processo mutageno dai Kree. Ora decaduto, considerato un fanatico, viene reso più “adeguato” per gli intenti del nuovo ordine dei Kree. Ronan odia la sola idea di diventare questo qualcos’altro e nonostante tutto il male arrecato agli inumani, chiede aiuto e perdono al Re della mezzanotte. Questi gli dirà di averlo perdonato, e dicendolo, porrà anche fine alle sue sofferenze (ecco il parallelismo con Medusa). Intanto Cates, nel trasportare il resto della famiglia reale da Beta Rey Bills, vecchio alleato degli inumani, ci porterà su una vecchia conoscenza. Lo stesso pianeta che, migliaia di anni prima, fu devastato dall’incontro fra Galactus e Ghost rider cosmico (nella sua omonima miniserie).
Beta Rey, amico fraterno di Lockjaw, si muove in suo soccorso. Giusto in tempo per porre fine allo scontro fra Black bolt e Vox, il quale si scoprirà esser uno scontro fratricida. Il fratello di Blackagar, Maximus, infatti, è stato rivoltato come un calzino dai Kree (un po’ come i primi inumani) per impersonare lo strumento di morte definitivo. Questi però non è l’unico. Infatti come lui anche gli altri inumani sono stati tramutati in altri Vox, al fine di acquisire gli inumani liberi e tramutarli in ciò che da sempre dovevano essere: armi.
Questa è la stessa consapevolezza che rende chiaro a Black Bolt come, per porre in essere la profezia dei Kree, gli inumani devono morire. Il suo urlo mortifero appare ora come un gesto suicida, rivolto al suo stesso popolo. Il quale, in senso lato, è il corpo stesso di un Re, l’espressione tangibile e materiale del suo potere, fin dove si estende il suo principio di unità e potere (e dunque i limiti, cioè la forma stessa di un corpo). Ma se Roma non è stata costruita in un giorno, e tuttavia è stata bruciata in così poco, è anche vero che dalla ceneri è sorta nuovamente. Roma continua a vivere e così Attilan.
Il plot della miniserie è interessante, tutt’altro che arbitrario e che fonda alcune sue radici con il lavoro di Jonathan Hickman sugli inumani cosmici e su Supremor [lo vedremo prossimamente, NdR].
Tuttavia lo sviluppo è di un tamarro – e fin qui va bene – pigro (e qui no). Così come la conclusione giunge pigramente. Manca l’estro dell’autore, manca il solito trasporto emotivo. E l’unico aspetto utile per il nostro lavoro sul cosmo di Cates è la presenza di Beta Rey e la sua amicizia con Lockjaw, perpetrata poi su Thor. Ariel Olivetti è Ariel Olivetti, ma non viene esaltato dal colorista Jordie Bellaire, e fatico a credere che stiamo parlando dello stesso spessore grafico (e infatti non lo è) di un’opera come Venom cavaliere spaziale, dove la tridimensionalità emergeva ad ogni pagina: sì insomma, Olivetti le tavole se le deve colorare da solo. Qui al contrario abbiamo una situazione decisamente piatta, in linea con la sceneggiatura…ahimè.
Guardiani della Galassia
Passando ala maxiserie sui Guardiani, ricordiamo brevemente come questa si componga di soli due archi narrativi. Il primo disegnato dall’ottimo Geoff Shaw (visto già su Thanos Vince) e il secondo da Cory Smith, molto meno interessante ma sicuramente funzionante. Tutto si apre con un universo a pezzi, diviso, in guerra. Una divisione tale da rendere urgente una riunione fra le parti, una riunione inaudita. Cosa può mettere insieme divinità di vario genere, Asgardiani, Shi’ar, ma addirittura Kree e Skrull? Ancora una volta, Thanos!
In seguito agli esiti di Infinity Wars (evento piuttosto meh di quel periodo), Gamora è la ricercata numero uno. Questo dopo aver sfruttato le gemme dell’infinito in malo modo e aver decapitato Thanos; aggiungiamo che anche Drax è morto e di Rocket.. beh meglio non parlarne ora. Starlord e Groot si ritrovano dunque soli, a bordo di una nuova nave: dopo la Milano ecco la Ryder (per via della nostra Winona intergalattica). Groot è in una fase di ribellione, con una cresta punk, un’emotività adolescenziale e l’insana tendenza a creare numerose e artificiose versioni di sé in miniatura, per tentare di compensare le enormi mancanze della sua unica famiglia.
Intanto, come si anticipava, un folto gruppo eterogeneo dell’interno panorama cosmico Marvel dibatte sul testamento di Thanos. Ebbene sì, Thanos è morto, ma le cose non stanno semplicemente così: il coriaceo in viola ha deciso, tramite un videomessaggio testamentario, di comunicare al fratello Eros e a tutti gli altri che è pronto a tornare tramite un backup della propria coscienza in un corpo ancora da rintracciare. Il folle titano, come Gol D. Roger, lancia la sfida al mondo intero: trovatelo (One Piece o corpo di riserva poco importa) se ci riuscite!
In quale corpo si reincarnerà Thanos? Beh, nessuna risposta certa ma sicuramente ce ne sta una probabile: la neo villain, nonché figlia del titano e sua assassina, Gamora. Intanto l’ordine nero (noto gruppo di sgherri di Thanos) fa irruzione e scoppia una battaglia, una battaglia che comincia – all’insegna del tamarro – con una testa di Celestiale, capace di volare a velocità oltre la luce e fungere tanto da navicella quanto da ariete. Cates inizia già a farsi sentire in questo scoppiettante primo numero. A coronare il tutto, un buco nero creato dall’ordine nero (giustamente) che risucchia questo informe gruppo di guerrieri, ma solo in via temporanea (ma attenzione, perché questo darà il pretesto narrativo a Cates per scrivere una miniserie su Silver Surfer nel suddetto buco nero, come vedremo tra poco): una stravagante commistione di Stormbreaker (a mo’ di ancora) e le catene di Cyttorak, permettono loro di ritornare nella propria realtà e poter incontrare Star lord e Groot. E così si formano i nuovi Guardiani della galassia.
Ma non è tutto: i capitani del titano recuperano il corpo senza testa di Thanos, ma questi vorrebbero per lui solamente la pace. Ora che, finalmente , è insieme al proprio amore: Morte. Ma qualcuno si oppone, questo qualcuno vorrebbe fare risorgere l’amato della Morte senza troppo temere la collera della stessa. E chi sarà mai? Hela, la dea della morte. Che follia.
Siamo abituati a pensare ai Guardiani della galassia come una famiglia bizzarra e disfunzionale, e così Cates porta avanti questa tradizione in una fase editoriale pesante per i guardiani stessi. Peter Quill, più alcol che uomo, incapace di andare avanti dopo gli eventi di Infinity wars e il ruolo ricoperto dall’amata Gamora, è colui che – nonostante tutto questo – deve placare le infinite lotte intestine fra due individui bizzarri: Ghost rider cosmico ancora per poco nei guardiani – ben più interessato a uccidere Thanos – e il ribelle Groot.
Intanto Hela e l’ordine nero si recano dal Collezionista alla ricerca di un cimelio prezioso: la testa di Thanos. E così, di parallelo, parte un’altra ricerca: quella dell’amato di Gamora, nonché Nova per eccellenza, Richard Rider. Se ci sta qualcuno che conosce la locazione della figlia del titano sarà lui, no? E chi è così interessato, quasi morbosamente, da questa ricerca? Starfox, Eros, nonché fratello di Thanos e membro degli Eterni. Il quale è accompagnato dai dark guardians, un gruppo neonato (fra i quali, Gladiatore, Cosmic Ghost rider che lascia i guardiani e Nebula) e unito dal solo scopo di uccidere Thanos…nuovamente.
Tre prospettive in gioco: Eros e i suoi Dark guardians alla ricerca di Gamora, i nuovi guardiani un po’ allo sbaraglio, e l’ordine nero con Hela. Hela troverà finalmente la testa di Thanos da Annihilus. Qui seguirà un piacevole scontro di prospettive. Annihilus della zona negativa, l’essere che probabilmente meno di tutti è prossimo alla morte e Hela, la Dea della morte che conosce esattamente la vera morte di tutti, di Annihilus compreso. Come spesso accade nei suoi lavori, Cates ama mettere in parallelo/confronto personaggi Marvel avvicinati da uno stesso concetto (in questo caso con la morte, e dunque Hela e Lady Morte, ma anche Hela e Annihilus).
Intanto Peter, facendo i conti con le sue responsabilità familiari e il senso di morte lasciato da Infinity wars, si convince a dirigersi verso Gamora, la quale scopriamo trovarsi su Mezzomondo, luogo di nascita di Rocket (divertente il modo in cui su questo pianeta ora convergano due delle tre assenze dei guardiani. Per Drax dovremo attendere un altro po’). Qui, finalmente, Peter incontrerà Gamora, fra mille domande, incertezze e un buco nel petto. Non solo quello emotivo ma anche quello che si prenderà per lei, durante un tamarro ma inevitabile scontro fra i guardiani e dark guardians.
Nulla di preoccupante per Quill e il suo giubbotto antiproiettili. Inoltre, grazie ai contatti passati di Beta Rey con gli inumani, Starlord sta per guadagnare un nuovo alleato: Lockjaw. Il quale farà più volte capolino nella futura gestione di Thor.
Ma venendo a noi, a cosa serve un segugio dal calibro reale? A ritrovare Gamora. Perché sì, appena ritrovati, i guardiani si separano a causa dei vittoriosi dark guardians. Ma non ci sta mai pace per gli empi, e questi infatti incontreranno presso la furia del terzo team di questa serie: Hela e l’ordine nero. Dopo aver fracassato circa tutti, Hela rivela a Eros la più orribile delle verità: il vero backup di Thanos non era Gamora bensì lui. D’altronde Thanos non ha voluto esser nient’altro che un titano. E in assenza di quello principale, chi meglio di suo fratello? “Il piccolo titano”?. Thanos ritorna, e come primo gesto di gratitudine verso la propria salvatrice, bacia Hela. Vedendo in lei la “giusta” Morte per lui. Ormai manca solo un capitolo alla fine del primo arco narrativo di Cates sui guardiani, serie convergente del suo scoppiettante progetto cosmico.
Col finale assistiamo al sodalizio fra i guardiani e i dark guardians. Ora tutti semplicemente guardiani. Uniti dal mal comune: tutti contro Hela, tutti contro la rinascita di Thanos. La quale, in effetti, si interrompe prematuramente, con Gamora che uccide lo zio, ancora cosciente di sé e con l’amara consapevolezza di esser sempre stato lui il “marcio di riserva”. Nonostante i tentativi da eroe, nonostante il desiderio di distanziarsi dal fratello e soprattutto di non farsi adombrare dalla sua personalità, ahimè Eros nasce decisamente sotto una cattiva stella. Il corpo di Thanos, alla fine, si desta. Ma a metà, con un upload incompleto. Non è completamente lui, e ci appare come poco meno di un Bizarro. Per dirlo in poche battute, tutto si risolve come è iniziato: con un buco nero, ma questa volta nello stomaco di Thanos-Bizarro.
Sia Eros-quasi Thanos che Thanos-Bizarro collassano nel buco nero e tutto sembrerebbe chiudersi così. Fra festeggiamenti, nuove formazioni e due mezzi Thanos finiti chissà dove. Ma se i guardiani stanno risorgendo, una domanda sorge spontanea: dov’è Rocket ?
Ma quando la chiesa universale della verità sembra aver posto fine all’intero Nova corps, con J’son che contatta il figlio Peter e che sembra indicare una guerra cosmica che coinvolge gli spartoi (con i quali Peter condivide metà del proprio patrimonio genetico), chiedere dove sia un procione sembra andare in secondo piano. Questa chiesa non è propriamente quella nota a tutti, ma è una versione del futuro non alimentata dalla fede quanto dalla vita stessa. Questa organizzazione rende succubi, ruba la volontà individuale e con essa si alimenta. Un divertente accostamento con le lanterne verdi sembra far capolino: i Nova corps sono, in sostanza, le lanterne della Marvel e queste sono rimaste succubi di un gioco luminoso di volontà e fede (che ha quasi il colore associato alla misericordia nell’universo Dc, emozione che alimenta il corpo più religioso fra tutti: la tribù indaco). A capo della chiesa vi è il patriarca, il quale si rivelerà esser proprio J’son, padre di Peter. Questi, rendendo succubi la maggior parte dei guardiani della galassia operativi, isola il proprio figlio portandolo a sé e al suo progetto di resurrezione (tema ricorrente) del messia.
Intanto si scopre la verità su Rocket che, come gli altri comprimari, subisce l’urto del cambiamento proprio in infinity wars. Da quel momento in poi, infatti, l’evoluzione forzata, i cambiamenti di DNA e gli innesti robotici hanno iniziato a fare cilecca, e il corpo di Rocket ha cominciato a rigettarli; conseguentemente a ciò, l’amato procione ci appare morente, al limite. Per via di questa condizione ha deciso di abbandonare i guardiani, per non mostrarsi alla propria famiglia così fragile. Ma se nonostante tutto i guardiani hanno bisogno di lui, e da solo non è capace di assolvere ai suoi doveri, ecco che Rocket ci mostra il suo nuovo Gundam (un’altra soluzione narrativa raffinatissima):
La chiesa universale estrae psichicamente l’energia delle singole vite per alimentarne delle altre: di colui – o coloro – che distruggeranno la Morte nel futuro. Adam Warlock? No. Magus? Nooo.
Distruggere l’individualità per preservarne la vita, con tanto di Messia e apocalisse alla fine del tempo. È qui che il padre di Peter ha visto la fine di ogni cosa, con lady Morte trionfante su di un mare di sangue. Preservare la Terra, privandola di tutte le proprie unità viventi, è ciò che va sacrificato per il bene dei grandi schemi.
Una storia trita, diciamocelo. Il bene superiore che, dall’alto della propria superiorità, si trasforma in una minaccia di pari valore a quella che si vorrebbe evitare. Tralasciando i giudizi per il momento, in tutto questo il messia chi è?
Quando cercate qualcuno per distruggere, chi chiamate?
Hulk? Fuochino. È verde come lui.
L’abominio? Mmh è abominevole pure lui, sì ma no.
Cazzo, non sarà mica Drax ?
Oh!
Non solo uno, ma un esercito di Drax. Nessuno dei quali sembra ricordare la propria vita prima della rinascita e ci appaiono come i soliti omaccioni senza personalità pronti a picchiare. Intanto fa la sua ricomparsa la giovanissima reincarnazione del Magus (vista sempre in Infinity wars), senza che la quale si riveli fondamentale per risolvere la situazione. A risolverla sarà, invece, un morente Rocket, manco a dirlo. Quando l’ingegneria batte la fede, insomma. Rocket fa in modo che la chiesa universale faccia ritorno al proprio tempo sfruttando la stessa tecnologia per catturare la volontà individuale ma invertendone gli esiti voluti. Giusto in tempo, prima che questi si rechino sulla Terra per far incetta di individualità preziose (come spesso capita nell’universo Marvel, anche qui la Terra ricopre un ruolo peculiare e non sostituibile nel grande disegno cosmico).
Senza però Drax, ora ritornato alla sua solita natura da ex sassofonista, il proprio esercito di distruttori e la riserva vitale a disposizione (dato che Rocket, dando potere a questa nave ha anche fatto collassare il sistema con cui i guardiani e tutti gli altri erano in stato vegetativo), la chiesa universale si ritrova inerme dinnanzi al proprio tempo e al proprio rivale. Vestito sì come lady Morte ma… In realtà è Thanos. Lo stesso Re Thanos che vince sempre. Ripiombiamo inaspettatamente in quella realtà dove Thanos non può fare altro che vincere e ci chiediamo come sarebbero andate le cose se Rocket non avesse rotto le uova nel paniere.
Ma Thanos vince, no? Non può che vincere in quell’universo. Si diceva lo stesso di Galactus accompagnato dal Ghost rider cosmico: in un altro universo avremmo assistito alla fine di Thanos, in una bizzarra e avvincente avventura fatta di redenzione, rinascita e improbabili team up… ma non in questo universo, dove Thanos vince e basta. Aiutato, a quanto pare, anche dalla circostanze fortuite; ci è infatti lecito credere che questa volta una chiesa universale così potente avrebbe dato del filo da torcere a Thanos, ma per volontà cosmica o un altrettanto cosmico culo, le cose vanno sempre in suo favore. Anche la sua morte, tanto agognata e restituita dalla sua versione più giovane, era una forma di vittoria.
Intanto, Rocket in un letto di ospedale si chiede cosa sia accaduto nell’ultimo anno, lo stesso anno editoriale scoppiettante per Cates. Il quale ne approfitta per fare un breve recap, e vi lascio le tavole in questione alla fine dell’articolo, in modo da impiegarle come sintesi anche per i nostri scopi. Tutto, insomma, sembra culminare qui, una fine al tutto. Ma è solo apparente. Non solo perché sappiamo che Thor riprenderà determinate questioni ma anche perché se abbiamo rivisto Re Thanos dopo che quella timeline sembrava cancellata per sempre, ci chiediamo quanto a lungo Thanos resterà morto. Spoiler: poco.
Prima di passare all’ottima miniserie di Silver Surfer, qualche commento rapido sui guardiani: la serializzazione penalizza Cates, è inutile girarci intorno. Il primo arco narrativo è sufficientemente tamarro come l’autore ci ha abituati: ci sta la commistione marvelliana, il mix continuo di idee, poteri e stramberie ma il tutto manca di verve. L’operazione ci appare come un pretesto per rilanciare i guardiani “alla Donny Cates”, ricordandosi però di aver già scritto delle miniserie cosmiche e avendo l’accortezza di inserire qualche riferimento, cliff hanger a dovere e personaggi carismatici da lui ripensati. Trovare una causa comune per mettere insieme figuri così diversi (così come è Avengers difatti) è assolutamente legittimo, ma l’eccessiva gratuità della fine di Thanos (uno spara buchi neri, really?) che ci appare inserito giusto perché era doveroso farlo e la straordinariamente insensata sproporzione con cui in sei numeri ci sono un sacco di ignoranti lotte intestine e spazio per poco altro (di intelligente), mi hanno creato un senso di insoddisfazione (perpetrato in un secondo arco narrativo decisamente meh); forse abituato a un Cates più brillante, folle, ingegnoso, carismatico e libero dalle catene della continuity. Un’insoddisfazione parzialmente compensata dal lavoro di Shaw, che però ho comunque apprezzato molto di più su Thanos Vince.
Silver Surfer Nero
Silver surfer, Norrin Radd, noto araldo di Galactus. Essere luminoso, investito di poteri cosmici e se vogliamo esser poetici, vestito della luce del cosmo, espressione pura della luce stessa. Immaginate questo individuo puro e bellissimo, esser testimone e artefice delle infinite morti procurate da Galactus. Collaboratore e procuratore di un orrore eterno. Immerso nel nero più oscuro, la sua luce si faceva sempre più flebile finché non ha deciso di affrancarsi, di rappresentare non più l’orrido ma gli emarginati, tramite la sua luce solitaria – e preziosa – nel cosmo. Rifuggire dal buio, dal nero, dalla morte violenta. Ora immaginate cosa possa provare un individuo così nel finire in un buco nero. Ancora una volta proiettato nel nero, nel buio.
Tutta la discesa e l’angoscia di questo viaggio – e non solo questi, davvero un lavoro grafico senza eguali – sono rese meravigliosamente dalle matite di Tradd Moore e dai colori di Dave Stewart. Mi spiace ripetermi ma graficamente è tutto pazzesco. Un tripudio di colori e forme libere, esplosioni psichedeliche anni 60, figure fluide e compenetranti, una dinamica resa in modi freschi, nuovi, bizzarri e qualche volta surreali. D’altronde come vuoi immaginartelo un viaggio in un buco nero, ai confini fra spazio e tempo, reale e potenziale, se non come psichedelia pura?
La prima tappa di Silver surfer, in un viaggio che lo ha spinto a miliardi di anni nel passato, è su uno strano pianeta infetto e abitato da delle sentinelle robotiche che mi sembrano felicemente importate da Samurai Jack. Fra questi e l’oscura verità vi è un muro, il quale nasconde un potere tale da cancellare le stelle e asservire gli Dei. E cos’è? O meglio, chi è? Knull, il dio dei simbionti. Vi pare che Cates, nel suo progetto unificatore, tenesse fuori una delle sue creazioni di maggior successo?
Prima di incontrarlo, però, Norrin perde la lucentezza dalla sua mano, avvicinandosi – seppur di poco – a quel Silver Surfer nero che abbiamo conosciuto in Thanos vince. Per sfuggire al nero che infetta il pianeta (i simbionti), l’araldo crea una stella, affinché la luce della stessa possa aiutarlo a uscire dall’abisso. Questo però drena parte dei suoi poteri cosmici, ed ecco spiegata questa nuova condizione cromatica destinata ad allargarsi durante questa avventura.
Questo non è l’unico incontro di Silver surfer con Knull, come ci narra Cates. Preziosa la narrazione di questi, che ci accompagna in un flashback di Norrin sul mondo simbiotico. La strana sensazione di trovarsi su un pianeta che respira, si muove, si gonfia, ha pulsioni e quando meno te lo aspetti, ti avvolge. Con i suoi denti, tentacoli ed estremità sguscianti, ti prende nel suo nero. E qui compare il Re, che mostra i suoi infiniti figli. Avvolti nella loro rabbia, condividendo la stessa paura, gli stessi affetti. È tutto istinto, in questa rete oscura di cui Knull è il signore. Dio dell’oscurità, dove tutto inizia e finisce. Di tutto questo, viene ricoperto Silver Surfer, da araldo a cavaliere simbionte (seppur per pochissimo, giusto per mostrarci come sarebbe un araldo venomizzato. Commistioni, tanto per cambiare), vuoto contenitore a disposizione di Knull. Ma per poco, fra luce e infezioni, Norrin riesce a fuggire grazie ad una voce nella sua testa che gli restituisce il senno: a parlare è un giovanissimo Ego, un altro pianeta vivente ma in un’altra accezione.
Ego si rivela potenzialmente un grandioso alleato, ma questi è afflitto da un tumore nel suo nucleo. Ciò che seguirà vedrà Silver surfer alla prese con il sistema immunitario di Ego, immersioni fra vari strati concentrici per giungere fino al nucleo e ritrovarsi davanti, come se non bastasse, un’incredibile scoperta. Ma prima di arrivarci, non potremo che innamorarci dello straordinario affresco a opera di Moore e Stewart, di cui vi lascio qualche frangente.
Con curve sempre più sinuose, colori impazziti, in una dinamicità fluida e brillante. Tutto si compenetra, ogni dettaglio si disperde in qualcos’altro, è un lavoro capace di mettere in ombra la narrazione di Cates. La quale, però, come preannunciato, ci stupisce sul finale: il tumore situato al centro di Ego è Galactus, ma in fase di incubazione. Il nemico naturale di Ego, il divoratore di mondi, si sviluppa proprio dal suo centro. Quasi a dirci come Galactus sia letteralmente, e non solo metaforicamente, un cancro per Ego.
L’incubatrice per Galactus ci ricorda come, prima di questo universo, fosse un semplice mortale di nome Galan. Essa è, dunque, il ponte fra universi e status ontologici.
Il primo istinto di Norrin, dopo aver estirpato l’incubatrice da Ego, è di bruciarla in una stella. Qui verrà fermato dall’Osservatore. Così come lady Morte ha fermato un altro infanticidio: quello di Thanos a opera del Ghost rider cosmico. Uatu normalmente non può agire in quanto Osservatore, ma è pur vero che – in questo caso – l’anomalia sia quella di Surfer e il gesto che si appresta a compiere.
Uccidere Galactus prima ancora che diventi Galactus non cancella l’oscurità di cui si è già macchiato, proprio come per Frank Castle. E su suggerimento dell’Osservatore, Surfer tenta un’altra soluzione: conoscere Galan. Per farlo, Norrin è obbligato – non senza ulteriori fatiche – a penetrare nell’incubatrice. Altra fase esteticamente straordinaria “ma che ve lo dico a fa”. Da questo contatto avremo un assaggio dell’Inverno nero, il nome dato da Cates al responsabile della fine dell’universo di Galan, nonché prima (e forse ultima) minaccia per il suo Thor, come vedremo.
Galan spiega a Norrin come non sia possibile uccidere l’oscurità con l’oscurità. Uccidere un innocente (Galan) significa cancellare quel poco di luce all’interno di Silver surfer. Ciò lo renderebbe l’oscurità di cui parla Galan, nata dalla luce che perverte se stessa per uccidere Galactus (oscurità futura) prima ancora che sia tale. Il cosmo richiede equilibrio e l’unico modo per sconfiggere il Re in nero non può non coinvolgere la valorizzazione della luce stessa. E così Norrin chiederà aiuto a Ego per il suo epilogo luminoso: il cosmo è una connessione indistricabile di vite. Tramite Ego è possibile mettersi in contatto con tutte loro, chiamare a sé la loro luce, la loro energia, insomma la vitalità stessa; un po’ come voleva fare la chiesa universale, ma questa volta nel modo giusto. Nel rispetto della vita individuale. A che fine? Bruciare. Bruciare intensamente la luce più grande di cui Norrin abbia mai potuto disporre.
Battere l’oscurità non è possibile, non fino in fondo. D’altra parte non è necessario farlo proprio in virtù della stessa ragione per la quale non si può porne la fine: il bilanciamento. Bilanciare luce e ombra, bruciare quanto basta per fare sì che l’oscurità di Knull venga bilanciata. Bilanciarla significa aver consapevolezza di un ritorno di Knull che, come sappiamo, ci sarà ma non potrebbe che essere così. Proprio perché luce e ombra stanno sempre lì.
Queste sono le ultime riflessioni che Donny Cates instilla nel suo Silver surfer nel numero 5: la luce è la risposta al vuoto così come la corruzione necessita della generazione e viceversa. Cancellare l’oscurità non è il compito della luce e questa (e per noi, quella che Norrin preleva grazie ad Ego), non è un’arma. È un qualcosa da proteggere, coltivare, far crescere. E quando non è più in uno stato di fragilità, e al contrario è traboccante e rigogliosa, va condivisa col prossimo al fine di aiutarlo ad uscire dal vuoto. Ed ecco l’errore della chiesa universale: forzare la vita, non rispettarla e invece strumentalizzarla. Tutto ciò significa sfruttare la vita per ciò che essa non è, significa trasformare la luce in oscurità e come pretendi di battere l’oscurità con altra oscurità?
Silver surfer, nonostante abbia ormai sembianze completamente oscure, ritrova se stesso come araldo di luce. Come speranza nel nero più totale e, con questo atteggiamento, manifesta la luce cosmica in piccoli semi, affinché germoglino e diano la vita al pianeta arido in cui si trova dopo lo scontro con il Re in nero. A questo punto gli risulterà chiaro, dopo aver creato la vita come un Dio, perché su Draven Barr si adorava un Dio d’argento. Il passato non può esser cambiato, l’oscurità portata non può esser cancellata ma è sempre possibile bilanciare il male fatto con del bene. Se Norrin ha contributo alle atrocità di Galactus, per qualcun altro è stato un Dio portatore di vita. La luce non ha ucciso il Dio in nero, ha solo rallentato la sua crociata contro la luce. E quest’ultima, non deve mai essere un’arma: pena diventare l’oscurità stessa, come si ricordava. Per questo la risposta più luminosa possibile di Norrin, poco prima di tornare nel suo tempo, è allontanare lo scontro e prendersi cura della vita come l’essere vivente – e non oggettuale/strumentale – quale essa è.
Prima di lasciarci vorrei solo rilevare l’impatto che l’aspetto grafico ha avuto sulla nostra percezione. Man mano che Surfer percepisce il decadimento atomico sulla sua pelle – causa del suo cambiamento cromatico – e lo slegarsi delle molecole, i disegni diventano sempre più criptici, in uno stravagante e inaspettato cubismo. L’arte qui non va semplicemente a completamento della narrazione, come – pigramente – spesso capita. Non solo perché Moore collabora allo script, ma perché sarebbe impensabile comprendere il viaggio di Norrin senza questi esatti disegni. Non capiremmo la portata delle distorsioni spaziali, né cosa voglia esattamente dire proteggere un pianeta senziente da un’infezione cosmica attinente ad un universo precedente. La portata di questa Odissea è simbolica, cosmica, divina. Non è sufficiente la narrazione su questi piani astrali, è necessario mettersi davanti alle evidenti difficoltà che ci possono esser nel voler cogliere le singole sfumature. Dobbiamo percepire la fatica del nostro occhio, solo così comprendiamo come quello con cui stiamo entrando a conoscenza ci sia del tutto precluso, diverso, distante. Ricordo come il grande Al Ewing provò a esprimere questo concetto con la sola narrazione in Ultimates 2 (2016), dove avevamo due dei nostri comprimari: Ego e Galactus in una inaudita alleanza. Esprimere uno scontro, anche fisico, fra entità concettuali richiede uno sforzo grafico che, in quel caso, era insufficiente. Comprendere come operi, ad esempio, Lord Caos e Mastro Ordine e, in quel caso, anche la nascente entità Logos, è faticoso. Rischiamo di uniformare le loro esperienze alle nostre se, con l’occhio, vediamo un consueto scontro fisico. Che siano alieni, Dei o entità poco importa e invece IMPORTA.
Gli spazi tecnici mi hanno imposto una media fra sceneggiatura e disegni per il voto finale, ma ve lo dico nettamente: graficamente è 10 pieno, quindi date la colpa al buon Cates se il voto finale non è al pari di Moore e Stewart. Spero di inciampare più spesso in lavori di questa portata, soprattutto in ambito cosmico dove è richiesto un tale livello. Buona lettura e ci rivediamo presto su Thor!
Pros
- Cates ci regala un'altra perla inestimabile con Silver Surfer Nero. Il momento più alto, a mio giudizio, dell'intero progetto cosmico
Cons
- Purtroppo è il restante che fa abbassare drasticamente la media. Probabilmente la serializzazione da una parte e i tempi tecnici frenetici dall'altra, hanno appiattito il contributo dello sceneggiatore. D'altronde nel fumetto mainestream è così che funziona: se vali, ti commissionano poi una quantità impensabile di progetti. La qualità ne risente e vieni ridimensionato agli occhi dei lettori.
Laureato in filosofia, maestro d’ascia e immenso mentitore. Passa le sue giornate ad acquistare fumetti che forse un giorno leggerà e mai recensirà.
Fra le altre cose è degno di sollevare mjolnir, ha un anello delle lanterne verdi nel cassetto ed è il cugino di Hegel.