Se c’è una cosa che ho sempre apprezzato di Terry Moore è la sua anima intimista. Non è un caso che la sua opera più famosa sia Strangers in Paradise. La sua narrazione, che fa dei sentimenti la sua base, è il palcoscenico ideale nel quale l’autore può mostrare tutto il suo talento nel caratterizzare i personaggi e nel renderne graficamente le emozioni. Echo non fa eccezione in questo. Moore ci mostra ancora una volta la dote con la quale è capace di rendere più interessanti le situazioni ordinarie rispetto alle sparatorie, i combattimenti e gli altri topos da blockbuster d’azione.
Echo è infatti un’opera ibrida. Cerca di unire elementi da film d’azione americano allo sci-fi, il road movie più classico allo spionaggio industriale e riesce a infilarci elegantemente in mezzo anche degli echi dal sapore “biblico”. Detta così può sembrare un’accozzaglia disordinata di cliché, ma vi assicuro che il talento narrativo dell’autore riesce ad amalgamare il tutto in maniera così credibile che lo scarto tra un genere e l’altro non si avverte per niente. Come Last Man (di cui parlerò in futuro) è uno di quei pochi casi in cui la somma di tante influenze diverse non ha come risultato una macedonia indigesta.
L’incipit dell’opera ci narra di Julie Martin, fotografa freelancer, che si trova suo malgrado coinvolta in un incidente che la farà entrare in possesso di un misterioso materiale prodotto nei laboratori dell’Istituto di ricerca nucleare Heitzer (HeNRI per brevità): la lega 618. Da qui partirà una serie di eventi che costringerà la ragazza alla fuga, accompagnata da Dillon Murphy, ranger del parco nazionale di Moon Lake, che vede nella sostanza addosso a Julie la risposta al mistero sulla sua fidanzata Annie Trotter, scienziata dell’HeNRI scomparsa in circostanze sospette.
Capirete che l’inizio del fumetto è thriller a tutta forza e il suo mistero è così trascinante e i suoi personaggi così veri e palpabili da tenerti incollato più alle scene statiche, nelle quali la trama si snocciola e i personaggi si svelano, che non alle scene più adrenaliniche e dinamiche (che sono in ogni caso costruite e disegnate in maniera egregia).
Lo stile di disegno di Terry Moore è , infatti, fluido, pulito, organico e splende ancora di più nel delineare i tratti delle protagoniste femminili (vero fulcro della vicenda). Con un bianco e nero netto e incisivo l’autore riesce a rendere i caldi deserti del Nevada e la desolanti ambientazioni dell’Alaska. Il grigio è usato per i flashback, alcuni elementi atmosferici (es. tempesta di sabbia) e poco altro, mentre un grigio più saturo è usato per rendere la cromatura della lega metallica.
Cercare di racchiudere la complessità tematica di questo fumetto in un articoletto così breve non è una cosa fattibile, indi per cui non è detto che non torni a parlarne in futuro, per il momento vi basti sapere che ritengo Echo (sia a livello di disegni che di storia e personaggi) un vero e proprio gioiellino del fumetto indipendente americano che vi invito a recuperare con la splendida edizione integrale edita da Bao Publishing.
Studente di fumetto con il vizio dell’università. Bugiardo occasionale e accanito scrittore e sceneggiatore di storie che non pubblicherà mai. Parla fluentemente italiano e inglese. Parla anche un po’ di francese, ma soltanto per lanciare insulti a mezza bocca.