Questo dovrebbe essere il primo episodio di una rubrica, aperiodica e precaria, che ho temporaneamente battezzato Suggestioni Brevi, ovvero Due parole su qualche cosa che mi è piaciuto e che vi suggerisco di leggere/guardare, o più raramente un pensiero avulso da un’opera di intrattenimento specifica.
Vi ricordo che potete cliccare sulle categorie di un articolo (le scritte colorate in fondo) e leggere tutti quelli che hanno quella categoria in comune.
Una delle ragioni per cui ho apprezzato molto Cowboy Bebop è sicuramente il suo ritmo rilassato. E poi parliamoci chiaro la sottotrama di Spike non sarà originale ma per me vale la pena. E quindi niente mettiamo da parte un sacco di episodi e parliamo solo di quello e dell’unica cosa – insieme alla colonna sonora – che mi abbia veramente fatto dire alla fine di tutto: bello, un sacco bello.
Non sto dicendo che il resto delle trame è filler. Il cartone – lo sto chiamando così solo per dispetto, però davvero lo sappiamo tutti che è giapponese, che bisogno c’è di ridirlo? – è concepito così, per episodi autoconclusivi, e sono belli tutti quale più quale meno; le comparse sono al minimo suggestive; la serie è agrodolce, fa costantemente sorridere e sa anche commuovere. E in fondo l’aria che tira, col jazz, le sigarette e tutti quegli stereotipi rubati ai peggio noir infilati in quella matrice fantascientifica pessimista, ma di un pessimismo in qualche modo vitalistico comunque, mi hanno fatto innamorare.
Quindi insomma non è che sto tagliando via tutto il resto perché l’ho considerato una perdita di tempo per arrivare al finale, ma solo perché la trama generale diverge e perché Spike è il mio preferito, quello con cui mi sono rapportato di più. Perciò parliamo di Julia.
Julia è un ideale, e questo perché la vediamo quasi sempre attraverso gli occhi e la memoria di Spike. Compare forse una o due volte nelle storie degli altri personaggi, di sicuro ricordo una sequenza piuttosto lunga con Faye, ed è… diversa. Non è come te la immagini, è una donna vera in qualche modo. La Julia di Spike, per me, non ha nulla di reale, e questo io l’ho adorato.
È come pensi la ragazza di cui ti sei innamorato alle superiori, quando diventi scemo e ti immagini gli stralci della sua vita come la pubblicità di J’adore con Charlize Theron, ma con un sottofondo di musica indie folk e interruzioni momentanee in cui prende il tè e legge poesie. (Le tue nel peggiore dei casi. Tralasciamo.)
Per Spike, Julia è chiaramente molto più della ragazza di cui si è innamorato alle superiori, per quanto le loro storie si intreccino quando lui è un ragazzo e la sua ossessione sia comunque immatura e totale. La ragione è che Julia rappresenta in quel momento della sua vita la salvezza e la libertà dai suoi nemici e dai suoi peccati, anche se poi diventerà un anello importante delle sue catene.
In mezzo al fumo di sigaretta e alle astronavi, Cowboy Bebop è uno stupendo racconto di uomini e donne messi alla porta da una vita di merda, che vorrebbero far finta di nulla e continuare a vivere, ma che nonostante tutto devono fare i conti con il mondo reale, che non è il loro sogno di libertà e scherzi a caccia di taglie su una nave spaziale. O anche su un altro pianeta a vivere una tranquilla storia romantica, senza nulla di eccezionale ma come alla fine tocca a tanti esseri mortali comuni. Le persone si innamorano, a volte si sposano, a volte vivono tutta la vita insieme. E, tra alti e bassi, a volte sono felici.
Questo sogno tormenta Spike, lo tiene ancorato. Un occhio guarda al passato e uno al presente (questo è in qualche modo uno spoiler in realtà), e Julia (la persona, il ricordo di lei, il suo nome da solo persino) diviene il ricettacolo di questo passato e dell’anima del personaggio, che non sa se considerarsi vivo senza.
Ma badate, non si tratta di un semplice tormento d’amore. Spike è fortemente traumatizzato dagli eventi che lo hanno portato dov’è, anche perché lo hanno condotto a un passo dalla morte. Tanto che egli stesso si considera morto, e questo convincimento ne detta gli atteggiamenti e le scelte in modo profondo.
Tematicamente, la serie conduce verso un tentativo di rinascita, attraverso i legami tra i membri dell’equipaggio che si intensificano pian piano e li aiutano fondamentalmente a conservarsi, perché vivono per coprirsi le spalle a vicenda, prendersi cura gli uni degli altri.
Poi Julia.
È stupendo guardare l’equilibrio di decine di puntate incrinarsi di fronte a un ostacolo così stupidamente insormontabile, rendersi conto che (da spettatore forse lo sapevamo già, ma Jet, tanto per dire, aveva iniziato a credere nella famiglia del Bebop e di poter salvare Spike) non c’è cura.
Poi il finale. Non ve lo racconto.
Il momento in cui quell’equilibrio si spezza definitivamente e i sogni si infrangono, in una scena dal tempo dilatato, che ti dà il tempo di accettare qualcosa che non vorresti.
Applausi. Il sipario si chiude.
Aspirante studente e pigro dalla nascita, appassionato di storie in ogni forma e di sentenze sensazionalistiche poco argomentate. Per altri dettagli vi rimando all’autobiografia che non scriverò mai dal titolo provvisorio di ‘Indecisi’ – ‘Mainstream’ era già preso.