Ormai 13 anni fa ad Iron Man successe una cosa bella, ovvero si ritrovò coinvolto in un’operazione di rilancio (silenzio in sala, per favore, i commenti alla fine) della sua immagine intesa forse a modernizzarlo, sicuramente a rivalutarlo come eroe, approfondirne tematiche, retroscena, motivazioni.
Per un po’ introvabile o quasi in Italia per il tutto esaurito, finalmente nel corso di quest’anno Panini Comics ci ha degnati di una ristampa per la collana antologica Marvel Greatest Hits e ha dato il permesso a chi come me non era ancora nel settore in quegli anni di recuperare una breve chicca.
L’edizione è un classico cartonato Panini di tutto rispetto, di quelli con la costina bianca e rossa come ne avrete visti a decine, ma che dico a centinaia – una garanzia – e che fanno decisamente il loro lavoro senza infamia. Anche se forse stavolta c’era bisogno di un formato più grande.
Iron Man Extremis è, in una parola, sperimentale.
Warren Ellis si rifiutò di ricollegarsi a molta della storia editoriale recente del personaggio scegliendo invece di percorrere una strada sua che si riallacciava soltanto alle primissime esperienze di Iron Man, riscritte, tra le altre cose, in parte in questa miniserie; e Adi Granov non è nemmeno per davvero un illustratore di fumetti, ma principalmente un concept designer (ha lavorato, tra le altre cose, anche nel MCU, portandosi dietro probabilmente parte del design dell’armatura di questa miniserie per quella che verrà usata al cinema), e questa è una cosa che vi farà notare continuamente.
L’uomo
Premetto che non so cosa stesse succedendo ad Iron Man subito prima di Extremis e ho solo un’idea vaga di cosa sia successo dopo – la prima Civil War viene più o meno immediatamente dopo questa storia -, per questo non me ne abbiate se farò notare qualche dettaglio che apparteneva già al personaggio prima di Ellis.
Extremis è una storia dal sapore molto classico, ma non nel senso di tradizionale, standard. Extremis è una storia archetipica (vedremo in che senso), ed è una storia di Tony Stark.
W. Ellis usa con abilità da manuale, o inventa, tutti gli elementi costitutivi dei fumetti di Iron Man.
C’è il braccio di ferro con gli azionisti delle Stark Industries, c’è il senso di colpa di Tony per il commercio d’armi, c’è il lieve disturbo post-traumatico legato all’incidente in cui nasce la prima armatura (ri-raccontato quasi uguale nel film del 2008), c’è il senso di colpa – ancora – per le morti dirette e indirette causate da Tony. Non da Iron Man, perché questa non è una storia di eroi in costume carica d’azione e colpi di scena (ci sono anche quelli) ma la storia di un uomo che si sente inadeguato e cerca di riscattarsi.
Questo Tony ha vissuto il suo passato con leggerezza e non può lasciarlo andare perché è un passato pubblico, che gli viene rinfacciato continuamente e che egli stesso non riesce ad accettare, facendolo sentire in difetto, nel torto, qualunque cosa faccia per cercare di rimediare; perché Tony è un uomo insicuro, e ci viene mostrato con sequenze di una semplicità spiazzante o fatto intuire dal suo sarcasmo, dalle sue dipendenze, dal fatto che per affrontare i propri peccati debba avvolgersi in una corazza di metallo. E prima di questo è stato un ragazzo insicuro, reso (mai del tutto) adulto dalla solitudine e dalle aspettative degli altri.
Extremis è la storia di un uomo disposto a mettere in gioco sempre ancora qualcos’altro, di rischiare la vita, la salute, la sanità pur di placare le voci che lo accusano di essere un assassino, o anche solo di non essere un salvatore. Sì, perché la storia di Tony Stark è anche la storia di un individuo fuori dal comune cui è stato detto, da tutti e da tutto, fin dall’infanzia, “Tu sei migliore di noi, e per questo devi salvarci”. Mantra che si ripete come una profezia o una maledizione, e ogni volta Tony Stark è chiamato a farsi portavoce del futuro, e ogni volta è condannato a deludere l’umanità e metterla in pericolo.
Si direbbe una sorta di revisione del più celebre “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, ma Tony Stark non è decisamente Peter Parker – con la sua etica inequivocabile, le sue intenzioni pure, i valori della famiglia – e anzi più che mai in questa miniserie somiglia a Bruce Wayne, a.k.a. Batman, esempio di come questo stesso modello di eroe possa essere distorto (la sua bat-famiglia), deviato (la sua morale grigia e i limiti che si impone per non passare dall’altra parte), e allo stesso tempo forse l’eroe per eccellenza, prima ancora di Superman.
La macchina
Focalizzando l’attenzione sul protagonista della storia, ovvero Tony Stark, Granov per pagine e pagine non lascia davvero spazio ad altri personaggi, alle scenografie, ai gadget. Non mi sto lamentando, trovo che tutte quelle tavole così vuote, i primi piani serrati, le altre voci senza volto, relegate in un telefono o semplicemente fuori inquadratura creino un senso di vuoto e solitudine che aiuta la storia a carburare e a mettere a fuoco il soggetto.
Dopo un po’ il ritmo cambia, Ellis decide di dare spazio anche al resto del mondo e i disegni si aprono di conseguenza, includendo gli altri, scenografie aperte, il passato.
Lo stesso accade per Iron Man, l’armatura.
Ero abituato a vivere l’armatura come un coprotagonista, complice l’uso fatto al cinema e nelle serie più recenti dell’IA che la pilota, qualunque essa sia. In Extremis per buona parte della storia Iron Man è la Batmobile.
Fa un sacco di cose, segue gli ordini, risolve gli scontri, ma è impersonale, è un oggetto. Ed è di contorno.
È un modo di fare interessante, perché sembra vero; l’armatura non mi era mai sembrata così realistica, nemmeno al cinema in quella CGI luccicante e piena di dettagli.
Ma non faccio in tempo ad abituarmi alle chiacchiere sul ‘pilota di Iron Man’, alle speculazioni su chi (o cosa) possa essere, agli spostamenti in grossi scatoloni chiusi della ‘auto sportiva del signor Stark’ e ai dubbi sulla sua vera natura, perché un altro passo ancora e Iron Man scompare di scena del tutto.
L’armatura è sempre lì, uno dei suoi più bei design tra l’altro, ma adesso non ci sono ordini vocali, scomode interfacce utente. E non c’è più distinzione tra l’uomo e la macchina.
In fin dei conti è giusto, il virus Extremis per Iron Man è un modo di diventare tutt’uno con il suo guscio, per essere più efficiente (così dice), per sentirsi completo (sentire l’armatura come parte di sé dev’essere un bel sollievo per le sue turbe), per evolvere.
È un aspetto spesso sottovalutato di questa miniserie, e che poi è stato lasciato cadere. Ed è un problema di bioetica.
La riflessione etica è quasi sempre presente nel mondo dei supereroi. A volte nulla di nuovo viene detto per anni, a volte il tono del discorso è così spicciolo da far venire voglia che non ci sia e basta, ma più spesso l’etica è dove vanno a parare le storie di supereroi, la loro morale.
A volte, come qui, si ruba ad altri generi e contesti – per via del peculiare rapporto di questo personaggio con la tecnologia – e certi autori si permettono il lusso di essere in qualche modo colti.
W. Ellis non è uno scienziato, un ingegnere, un futurologo (non sono sicuro che questa parola esista), ma è un bravo scrittore. I bravi scrittori leggono anche e soprattutto fuori dal proprio ambito.
Il punto è che lo sceneggiatore si è accorto di una cosa interessante. Iron Man, con tutti i suoi complessi e il modo in cui li manifesta, è il trampolino di lancio per parlare di ingegneria genetica, sperimentazioni sugli umani, dei diritti che abbiamo e non abbiamo sul nostro corpo, di quanto la tecnologia che usiamo possa spingersi nell’integrarsi con noi, con il nostro quotidiano.
Certo Tony Stark non è un uomo comune e può fare cose che sono interdette agli uomini comuni. Cionondimeno il dubbio è presente, ci si chiede se quello che abbia fatto sia valso la pena, se non fosse troppo e basta al di là degli effettivi guadagni. Iron Man vince, batte il suo nemico del momento, scopre il piano orchestrato dietro le quinte per sfruttare il suo genio. Ma allora perché non sembra che vada tutto bene? Perché quel senso di amarezza in fondo all’ultima tavola?
Che ti succede, Tony? È tutto a posto?
Uno dei motivi per cui tutto è così sospeso è che si tratta, ricordiamolo, di quella che fu un’operazione di rilancio e che voleva essere (e ci è riuscita) la fonte di ispirazione di numerose storie successive.
Ma credo che la ragione principale sia che la storia narrata è solo una vittoria a metà, le ragioni specifiche voglio che le cerchiate da soli nel testo, quando lo leggerete.
Perché lo leggerete, vero?
Aspirante studente e pigro dalla nascita, appassionato di storie in ogni forma e di sentenze sensazionalistiche poco argomentate. Per altri dettagli vi rimando all’autobiografia che non scriverò mai dal titolo provvisorio di ‘Indecisi’ – ‘Mainstream’ era già preso.