A distanza di un anno praticamente, ritornano le Suggestioni Brevi.
Ritornano con un cambio di gioco per i miei soliloqui a puntate, che ormai si dipanano come un unico lungo discorso da mesi.
Sono partito da non so cosa e passato per il cinema, per Margot Robbie, per Tom King (è tutto collegato, vi dico), con una ripetizione tale degli stessi nomi che mi viene da ridere da solo.
(E vi parlerò pure dell’Harley di Sejic, datemi solo il tempo di leggerlo.)
Ma oggi no, oggi parliamo di due italiani: i fratelli Rincione.
(E di qualche hint per i miei approfondimenti futuri.)
Due parole fuori contesto (per dare contesto)
La mia cultura sul fumetto italiano è superficiale. Solo il finto indie degli ultimissimi anni – quello della Shockdom e dei webcomics – mi ha riavvicinato alla nostra penisola.
Webcomics che diventano poi fumetti stampati, diluendosi, a volte crescendo, a volte perdendosi.
Di certo c’è l’ignoranza mia nei confronti di tutta una scena underground fatta di fumetti punk, grunge e simili che potrebbe nascondere (sono certo di sì) i migliori capolavori che non ho ancora letto (di qualcosa ho intenzione di parlarvi, datemi un altro po’ di tempo); poi c’è la deriva del dominante bonellide, che non riesco a digerire fino in fondo, tolto un po’ di Dylan Dog.
Del resto pure se parliamo di Shockdom, BD Edizioni, Feltrinelli Comics, non tutto splende. Anzi io ho conosciuto questa scena dai suoi lati più deliranti e frivoli – non per questo insulsi, ma non è quello di cui mi interesso.
Penso a Drizzit, a Sacro/Profano, al primo Zerocalcare. Tutta ‘sta roba che usciva quando io ero alle superiori e iniziavo ad avvicinarmi ai fumetti, alle fiere, e leggevo principalmente storie in prestito dagli amici.
Ma c’era anche tanto altro, e c’è ancora.
C’era Zerocalcare ma fatto bene, c’era già Gipi, c’era Ausonia.
E poi, tutto intorno, ci sono quelli che ci provavano, o che ci provano ancora.
E di questi, qualcuno sta seriamente venendo su bene.
Non ho ancora avuto modo di leggere Bernardo Cavallino, per dirne una, ma la storia che raccontò l’internet era che Labadessa avesse fatto il salto di qualità. Pure Ortolani, dalla comicità potente ma a volte superficiale di Ratman è finito a scrivere di Cinzia, su tutto un diverso palcoscenico. La Andolfo non scrive più Sacro/Profano (credo, mi pare sia finito), e l’erotismo se l’è portato dietro nel suo Contronatura, ma trovandogli un altro posto.
PAPERI, di Giulio e Marco Rincione
Giulio Rincione parte con un curriculum più tradizionale.
All’esordio non ha opere goffe e adolescenziali (per alcuni autori al limite della fanfic), ma una banale gavetta da neodiplomato, che lo porta dai raccontini autoprodotti alla sua prima graphic novel eccetera eccetera.
Lui non è uno famosissimo, io l’ho conosciuto per sbaglio, ma è uno forte forte.
Paperi, messo in piedi insieme a suo fratello, è la Suggestione di oggi.
Quindi veniamo al punto: perché dovreste leggere Paperi?
Illustrazioni
Giulio Rincione, in arte (e su ig) batawp si occupa di linee e colori. Lo stile che sceglie è un graffito complesso, produce tavole impenetrabili, costruite per sovrapposizione di immagini. Linee di toni netti scarabocchiate sui fondali stracarichi di colore, come fossero frutto di pennellate troppo dense tirate a secco su una tela inerte, depistano, distraggono, concentrano.
Un topo vi guarda con un ghigno sorridente e contemporaneamente denti aguzzi si aprono nella sua bocca in un ringhio disegnato da un infante. Tutto insieme, uno accanto all’altro, uno sull’altro.
I fondali sono scoscesi, vi sembrerà di starvi arrampicando sulle pagine che non vi lasciano appigli, anche quando in scena c’è solo un ordinario salotto. Abbondano le prospettive innaturali: camere strettissime o vertiginose navate. Tutto vi schiaccia. Anche le vignette più disneyane di inizio storia non vi vorranno bene, non vi sorrideranno come siete abituati.
Disneyane non per ispirazione, ma perché Paperi, non ve l’ho detto, usa i personaggi di Paperopoli e Topolinia per veicolare la sua storia.
Non hanno un altro ruolo, credo, se non quello di prendervi per l’infanzia quando l’autore vi [si] vorrà più male. E in certi momenti odierete quello che state vedendo non tanto perché estremo, ma per i volti e i nomi di chi avete davanti.
Una scelta di stile.
Testi
Marco Rincione scrive la sceneggiatura, una distopia basata su un mondo gioioso e infantile che in realtà nasconde, più che la critica sociale come solito del genere, una lente perversa.
Paperi parla, essenzialmente, della depressione; e la distopia è il mezzo usato per rendere reale, eccessivo, il mondo come lo vedrebbe una persona che, fondamentalmente, è malata.
La trilogia si comporrebbe dei capitoli centrali dell’edizione raccolta in volume (che vi suggerisco), destinati rispettivamente a Paperoga, Paperino e Paperone, i nomi non sono mantenuti identici.
Ma nel volume sono presenti anche un primo capitolo interamente scritto e un capitolo breve a fumetti, quasi come una sorta di conclusione.
Il racconto iniziale, forse proprio per la natura non grafica, si sente autorizzato a spingere ancora un po’ di più sui contenuti rispetto al resto. Il risultato è interessante, diciamo così.
L’ultimo capitolo (che non è un finale) è stato forse un tentativo di salvare i protagonisti dal loro male, ma temo non basti. Avendo letto prima gli spillati, ho apprezzato molto la possibilità di leggere una sorta di conclusione che mettesse insieme certi pezzi, così come ho apprezzato ciò che contiene.
Ma, ed è giusto così, la storia va più giù di quanto quelle poche incazzate pagine possano tirarla su, e non c’è motivo di scappare dal male.
Probabilmente tornerò a parlare di quest’opera in altri contesti.
Per l’occasione sarò meno clemente e più denso di spoiler: vi lascio Natale per regalarvelo (e leggerlo) così da non cogliervi impreparati.
Aspirante studente e pigro dalla nascita, appassionato di storie in ogni forma e di sentenze sensazionalistiche poco argomentate. Per altri dettagli vi rimando all’autobiografia che non scriverò mai dal titolo provvisorio di ‘Indecisi’ – ‘Mainstream’ era già preso.