Scrivere un articolo su questo fumetto è stato incredibilmente difficile. Ho sempre l’impressione di non aver detto abbastanza. Nonostante la mole tutto sommato esigua dell’albo, L’odore dei ragazzi affamati, sceneggiato da Loo Hui Phang e disegnato da Frederik Peeters, con il suo stile mistico, quasi ermetico, fatto di particolari analogie e simmetrie, riesce a raccontare molte più cose di quante ne possano contenere normalmente le 109 tavole di cui questo volume è composto.

La storia inizia nei deserti Texani del post guerra di secessione, dove il conservatorismo sudista ha visto la sua disfatta dando il via alla stagione delle spedizioni di ricognizione e censimento finanziate dal governo americano. La scena si apre su tre figure totalmente atipiche per un western: Oscar Forrest, fotografo nato e cresciuto a Dublino, Stingley, geologo misogino permeato da un’aria inquisitoria e Milton, un anonimo garzone che nasconde in sé molto di più di quello che mostra. I tre sono impegnati in una spedizione per conto di una misteriosa organizzazione privata.

C’è da dire che, sebbene sia veramente ben fatto, quest’albo non dice nulla di straordinariamente nuovo. Ciò che tuttavia mi ha spinto a scriverci un articolo, oltre ai disegni di Frederik Peeters, che alternano alla concretezza dell’ambientazione western di colori piatti e saturati il blu lisergico e liquido delle visioni oniriche, è l’impianto simbolico e filosofico che esso contiene. Affrontando la tematica del desiderio, calata quasi a forza nel genere Western (necessario alla storia giacché indirizzata a noi occidentali), Loo Hui Phang punta un dito accusatorio contro la civiltà occidentale, resasi colpevole, nel corso della storia, non solo di efferati massacri, ma anche di tutta una serie di altre nefandezze che l’autrice riconduce tutte alla limitazione del desiderio.

Questo aspetto è maggiormente evidente nel personaggio di Stingley, incarnazione perfetta di un capitalismo sfrenato incapace di vedere il bello. È l’occidente positivista dell’utile sopra ad ogni altra cosa, che vorrebbe sublimare il desiderio (in questo fumetto simboleggiato dai cavalli) in energia lavorativa. La misoginia di questo personaggio è il sintomo di questa visione utilitaristica della realtà, giacché le donne, come nel medioevo, sono viste come una distrazione, un pericolo al consorzio sociale.

In diretta opposizione a lui troviamo Oscar, un “esteta imbecille”, per certi versi il vero protagonista della storia. La sua fuga verso l’Ovest è stata causata non tanto dalle sue truffe, quanto dal suicidio del suo amante, dovuto (in accordo con quanto detto sopra) alla negazione del desiderio. Tramite il personaggio di Milton (del quale non parlo per evitare rivelazioni inopportune) il fotografo irlandese ritornerà a vivere il desiderio in un’accezione ancora più universale anche grazie all’aiuto di un misterioso indiano che, nella sua silenziosità sacrale, li pedina e in un certo senso li conduce verso un enigmatico finale.

Quest’ultimo penso sia il personaggio più rappresentativo di questa storia, poiché, al pari della trama, avanza attraverso sconfinati silenzi, costringendo il lettore alla tacita contemplazione delle immagini e dei gesti che esaltano l’indecifrabilità del desiderio e rendono ancora più vivida la piccolezza dell’uomo e delle sue ambizioni di fronte alla sua irrefrenabilità.


Halflie

Studente di fumetto con il vizio dell'università. Bugiardo occasionale e accanito scrittore e sceneggiatore di storie che non pubblicherà mai. Parla fluentemente italiano e inglese. Parla anche un po' di francese, ma soltanto per lanciare insulti a mezza bocca.