“In precedenza c’era la questione di scoprire se la vita doveva avere un significato per essere vissuta oppure no. È ora diventato chiaro, al contrario, che sarà vissuta al meglio se non ha significato”.

                                                                                          (Albert Camus, Il mito di Sisifo, 1942)                                                                                                           

 

La cosa grandiosa de “I fiori del male” è che iniziando a leggerlo si nota come le prime pagine potrebbero essere quelle di un qualsiasi manga comedy scolastico. Gli elementi ci sono tutti: uno scialbo e sfigato protagonista (quello che trovate in un qualsiasi anime harem), una ragazza perfetta e idealizzata di cui il protagonista si innamora e i compagni di scuola che lo sfottono. Eppure basta andare poco più avanti perché tutto questo prenda una piega inquietantissima. Procederò con una breve sinossi della storia dopodiché sconsiglio di continuare a chi ha intenzione di recuperare questo fumetto.

Scritto e disegnato da Shūzō Oshimi, questo manga parla di Takao Kasuga, ragazzino delle medie con un’insana fissa per I fiori del male di Baudelaire, che compie un gesto riprovevole: ruba la divisa da ginnastica usata di Nanako Saeki, ragazza di cui è segretamente innamorato. Il subitaneo pentimento lo porterebbe a rimetterla dove l’ha trovata, ma Sawa Nakamura, scostante e asociale compagna di classe, lo ha visto compiere il furto e inizia a ricattarlo stringendo con lui una sorta di contratto. Inizia per il giovane Takao un viaggio che lo spoglierà di orgoglio e presunzione e lo metterà a contatto con la parte più fragile e meschina di sé.

I fiori del male è un improbabile romanzo di formazione impastato d’inchiostro e spleen. Esso denuncia da un lato la società giapponese, chiusa e fatta di formalismi, mentre dall’altro cerca di ritrarre l’evoluzione della psiche adolescenziale alla continua ricerca di un senso più profondo dell’esistenza. La raccolta di poesie di Baudelaire non è nient’altro che un feticcio che ci mostra la morbosità della chiacchiera su cui l’ego del protagonista si era appiattito e (sul finale) la comprensione effettiva, non di un senso definitivo, ma di uno che riesca in qualche modo a farci dormire la notte.

Durante tutta la storia Takao è dipendente dal doversi definire come persona. Lo fa prima con la superiorità intellettuale che si attribuisce in virtù delle sue letture impegnate e l’amore per Saeki, poi con la ricerca della trasgressione a tutti i costi e l’approvazione di Nakamura e infine con il cercare la conclusione del suo romanzo insieme ad Aya Tokiwa.

Ritrovatosi dopo anni con Nakamura, Takao le chiederà quale fosse stato il senso di tutte le sue azioni nei suoi confronti, ma la ragazza non darà risposte. Si limiterà a notificare che il ragazzo ha preso la strada che tutti percorrono. “Quale strada?” si chiederà il lettore, “È positivo che abbia imboccato questa via?”

Non esistono risposte, Sawa non le ha. Insieme al protagonista siamo portati a farcene una ragione, a pensare che il “perché” non ha tutta questa importanza. L’assenza di significato non è più spaventosa come quando la storia è iniziata. Solo dopo questo incontro Takao può lasciarsi il passato alle spalle e guardare finalmente il cielo. Un cielo grigio e bellissimo. Non più terso e azzurro come nei giorni ormai andati. Un cielo da persona adulta.


Halflie

Studente di fumetto con il vizio dell'università. Bugiardo occasionale e accanito scrittore e sceneggiatore di storie che non pubblicherà mai. Parla fluentemente italiano e inglese. Parla anche un po' di francese, ma soltanto per lanciare insulti a mezza bocca.