Bernardo di Chartres diceva, riferendosi agli antichi auctores come Cicerone e Quintiliano che “noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti”. Ecco, questa frase potrebbe essere la stessa che in futuro molti mangaka potrebbero usare parlando di Hajime Isayama e della sua opera: L’Attacco dei Giganti.

L’ironia di questa frase è sublime

Non dubito infatti che negli anni a venire potremmo veder fiorire molti autori nelle cui opere, almeno in parte, ci sarà una piccola traccia de L’Attacco dei Giganti. Questo infatti ha ribaltato le carte in tavola. Già quando iniziò la sua pubblicazione venne subito percepito come diverso (anche per la carenza artistica dell’autore che nei primi capitoli era veramente qualcosa di terribile) soprattutto perché fin da subito si mostrava essere una storia cattiva, paurosa, che non fa sconti a nessuno.

È ancora troppo presto per capire e vedere quale sia l’eredità de L’Attacco dei Giganti, ma possiamo farci un’idea del cambiamento che ha innescato nel mercato dello shōnen guardando a come eravamo. Nel 2009, anno di pubblicazione dell’opera di Hajime Isayama, le tre serie più popolari erano One Piece, Naruto e Bleach. Tre serie che non sfuggivano alla regola aurea della rivista edita da Shueisha (e che era per estensione la formula dello shōnen tout court): Amicizia, Impegno, Vittoria!

Mi sembra un secolo fa che questi tre erano i Big 3 fissi

Il mercato del fumetto per ragazzi era in crisi. Se One Piece continuava imperterrito a raccontare ciò che voleva raccontare, Bleach e Naruto entravano (chi più e chi meno) nelle loro fasi calanti. È opinione diffusa tra gli appassionati che la seconda parte del manga di Masashi Kishimoto (per quanto ancora godibile) non abbia più raggiunto i picchi a cui era arrivata nei primi trenta volumi, per quanto riguarda Bleach invece… stendiamo un velo pietoso.

Tanto era sentito il grande periodo di smarrimento che NisiOisiN e Akira Akatsuki nello stesso anno iniziarono la pubblicazione di un manga che potremmo definire la pietra tombale del Battle Shōnen: Medaka Box. Ci sarà tempo e luogo per approfondire, per oggi ci basta sapere che i vecchi modelli stavano diventando obsoleti e c’era bisogno di un cambiamento sostanziale.

L’Attacco dei Giganti ha mostrato un nuovo volto dello shōnen. Uno che non deve essere vincolato alle formule del passato, arrivando addirittura (nel famoso confronto a Liberio tra Eren e Reiner) a negare lo stesso principio che è cardine di molti fumetti precedenti. L’obbiettivo di Eren (quello di ammazzare tutti i giganti) altro non era che il vaneggiamento di un bambino che piange. In questa ottica tutto lo shōnen può essere rivisto. Diventare re dei pirati, essere il prossimo Hokage o semplicemente l’essere il guerriero più forte diventano deliri di onnipotenza di menti troppo piccole e immature.

Forse uno dei momenti più alti del manga

Spero che con questa frase abbia reso chiaro il perché questo manga ha cambiato TUTTO, e lo scrivo in maiuscolo perché non posso urlarlo. Pensate ai fumetti dopo L’Attacco dei Giganti, un graduale cambio di direzione è innegabile. Mi viene in mente ad esempio Chainsaw Man di Tatsuki Fujimoto (che è ancora in corso e quindi non dovrei parlarne) e di come i desideri del protagonista, da tanto tempo il perno attorno ai quali ruota tutta la vicenda, siano sminuiti. Sono cose banali, istintuali e passeggere, come il mangiare un panino con la marmellata o il palpare il seno di una ragazza.

Parlando del fumetto in sé la prima (e per me più importante) differenza con lo shōnen classico è stato il superamento della divisione manichea tra bene e male che caratterizza il manga per ragazzi. Non esistono buoni e cattivi, soltanto stronzi e poveracci (e spesso e volentieri le due definizioni si applicano alla stessa persona). Vediamo quale sia la condizione e il disagio di chi vive rintanato nelle mura di Paradise e poi vediamo la miseria degli Eldiani di Marley, sotto lo schiaffo di una nazione in stato di decadenza e che tenta con tutta se stessa di sfuggirvi. Cosa è l’attacco di Eren a Liberio se non il parallelo rovesciato dell’apparizione del Gigante Colossale nel primissimo capitolo del fumetto? Chi è Gabi se non il riflesso di un Eren bambino e determinato a uccidere i mostri di turno? I Marleyani hanno ragione a trattare così gli Eldiani solo perché questi li avevano dominati per migliaia di anni? Non vi è risposta. L’unica cosa certa è che da una parte e dall’altra la gente muore. Insomma è una storia dallo stampo fortemente pacifista, una storia che ti fa capire quanto marginali e stupidi possono essere i discorsi di odio fatti di nette separazioni tra “noi” e “loro”, tra “uomini” e “mostri, tra “angeli” e “demoni”.

C’è poi da dire che Hajime Isayama è stato bravo nel mescolare nel suo calderone le sue suggestioni più disparate, prendendo ispirazione dalla cultura norrena e da quella giudaico-cristiana. Se infatti non vi sono dubbi sul fatto che i giganti siano quelli della mitologia norrena e che la Coordinata altro non è se non una rielaborazione metafisica di Yggdrasil, è molto più difficile riconoscere nel regno dentro le mura un giardino dell’Eden (non per niente l’isola porta il nome di Paradise). Ancora meno individuabile sarebbe stato l’ascendente di George R. R. Martin con Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco se non fosse stato per i numerosi omaggi che Isayama ha fatto alla serie tv ponendo le facce degli attori su alcuni giganti. Ma forse un ascendente ancora maggiore lo ha avuto una grande personalità del fumetto nipponico: Go Nagai.

Il gigante Skrymir di Elmer Boyd Smith
Citazioni sottili come un baobab

Molti saranno stupiti da questa affermazione, ma l’influenza del papà dei manga dei robottoni è perfettamente visibile e contemporaneamente nascosta all’occhio di tutti. Hajime Isayama ha infatti compiuto una mirabile trasfigurazione di questo genere sostituendo ai colossali mecha pilotabili dei giganti di carne ed ossa, controllati dai personaggi non da una cabina di pilotaggio, ma dall’interno della nuca. In effetti, a pensarci ora, era un’operazione che lo stesso Nagai aveva fatto col suo Mao Dante. Non più cuore e acciaio di Jeeg Robot, ma carne e midollo spinale.

Insomma, al di là di tutto L’Attacco dei Giganti è stato un manga capace di parlare a tutti, sia agli orientali che a noi, sarà per la mescolanza ben calibrata con cui l’autore è riuscito a fondere i topos della narrativa tipicamente giapponese con storie, ispirazioni e atmosfere più riferite al mondo occidentale, ma forse anche e soprattutto perché in esso vengono trattati temi di ampio respiro, di carattere più universale. La violenza e la prevaricazione dei popoli sugli altri, la guerra e la voglia di libertà sono temi che trascendono le differenze culturali.

Non posso fare altro infine che porgere i miei migliori auguri ad Hajime Isayama, che prima ancora di essere un mangaka è stato un narratore estremamente consapevole di ciò che voleva narrare. Possiamo dire con certezza che la sua carta vincente sia stata proprio questa sua consapevolezza. L’avere in testa un’idea solida di narrazione lo ha fatto annaspare fuori dall’acqua del tempestoso mondo editoriale nonostante la sua iniziale carenza nel disegno e ha fatto sì che ogni aggiunta alla narrazione originale fosse in ultima istanza subordinata all’idea seminale della storia. Una grande consapevolezza che si rispecchia anche nella sua scelta di ritirarsi dal mercato dei manga. Come un novello Duchamp ha riconosciuto di aver dato tutto, e finita la sua opera, come i migliori attori, fa un inchino ed esce di scena.

Sipario!


Halflie

Studente di fumetto con il vizio dell'università. Bugiardo occasionale e accanito scrittore e sceneggiatore di storie che non pubblicherà mai. Parla fluentemente italiano e inglese. Parla anche un po' di francese, ma soltanto per lanciare insulti a mezza bocca.